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Chesterton: il padre è il capo della casa

Nella festa di San Giuseppe proponiamo un inedito di G.K. Chesterton politicamente molto scorretto perché incrina i nostri stereotipi sul potere. Il capo, infatti, non è chi comanda

Premessa: il corpo e le membra

Quando qualcuno parla una lingua sconosciuta, occorre un traduttore. È l’unico scopo di questa premessa, anche se sarebbe più azzeccato l’esempio della luce solare diretta: occorre un paio d’occhiali con lenti scure per non rimanere accecati.

Gilbert Keith Chesterton scrisse il contributo che segue, dedicato al padre di famiglia, nel 1911, che per noi non è solo un secolo fa, ma quasi un’era geologica fa. Le sue parole suonano incomprensibili come i geroglifici dell’antico Egitto, eppure parlano di cose imponenti come piramidi che ai nostri occhi attuali sfuggono come fossero polvere sul selciato della strada. Non c’è terreno più minato della famiglia per produrre dei terremoti sociali e mediatici. L’etichetta odierna del politically correct esige un approccio sessualmente rispettoso in merito, magari insistendo sulle tematiche di genere care alle femministe.

Non c’è dunque proposta più scorretta che mettere sul tavolo un pezzo giornalistico intitolato Il capo di casa, riferito all’uomo-maschio-padre. Alle prevenute e ai prevenuti basterà solo il titolo per trarre conclusioni furiose, e sbagliate. In molti prenderanno un abbaglio, capita quando non si è più abituati a guardare il sole.

Parlare di uomini, padri, mariti e indicarli come capi della famiglia sembra fomentare il circolo vizioso delle violenze domestiche, dei soprusi, dei femminicidi. È l’ opposto, se ci lasciamo condurre per mano da Chesterton. I nostri contemporanei, avendo completamente perso di vista cosa sia l’ideale familiare, sono indaffarati a tappare i buchi con toppe provvisorie a fronte di casi estremi di disagio e violenza; producono nuove teorie sul rispetto e la dignità, ma ignorano che rispolverare le origini sarebbe più fruttuoso.

Non giriamoci attorno: è un insulto alla madre dire che il padre è il capo della casa? Forse è addirittura una lode alla grandezza di lei … a patto che si tenga a mente un riferimento che Chesterton non cita, ma su cui fissa indubitabilmente lo sguardo.

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Che la famiglia sia un corpo unico formato da membra diverse è il dato originario ignorato: oggi ci sarà sempre qualcuno che obietterà se diamo al padre il ruolo di testa (o capo) e alla madre il ruolo di cuore perché quel qualcuno ha smesso di ragionare in termini di corpo e va in confusione di fronte all’anarchia di membra irrelate. Alla luce di un corpo che si nutre e cresce, la bocca non ha nulla di che vantarsi di fronte all’intestino; possono goderne assieme. Se c’è un trauma cranico in corso, il cuore ne patisce a sua volta.

Non è un insulto alla donna dire di suo marito che è il capo di casa. È semmai un rammarico constare che abbiamo ristretto le nostre vedute e perso per strada tutto il valore eroico di sacrificio che la parola “capo” possedeva. Per noi non è altro che un sinonimo di “detentore del potere”.

Il capo (o testa, o punta) di un’arma è ciò che s’infila per primo nell’ignoto nemico che sta di fronte. Sta davanti, non per comando, ma come necessario primo mediatore con l’ignoto. Sta davanti, implicitamente questo significa che protegge ciò che gli sta dietro. L’urto con l’estraneo spetta al capo.

Il capo è un portavoce, un difensore, un mediatore con il mistero che c’è oltre l’uscio di casa. Va per primo e così facendo accompagna chi lo segue; va per primo, per proteggere le cose a cui tiene più che se stesso. E così nel lontanissimo 1911 Chesterton porgeva ai suoi lettori questo paradosso brillante nell’articolo che segue, già esplosivo all’epoca …. addirittura rivoluzionario oggi.

Il capo di casa – di G. K. Chesterton

L’espressione «capo di casa» può sembrare a prima vista simbolica e dispotica. Non è affatto dispotica, ma è molto simbolica. Nasce da un fatto assolutamente semplice e primitivo, che tutti oggi dimenticano nelle discussioni in merito. Mi riferisco al fatto che la famiglia è più antica dello Stato, e questo significa che l’accordo è più antico della coercizione. Senza dubbio molta coercizione si è mescolata alle faccende domestiche. Ci sono stati uomini capaci di trascinare una donna all’altare come un padrone trascinava gli schiavi neri in una piantagione. Però di sicuro c’è un impressionante numero di casi in cui la donna non ha avuto affatto bisogno di essere trascinata.

Sotto l’antica legge romana è capitato che un uomo condannasse a morte suo figlio, ma proprio il fatto che questi casi vengano tramandati dimostra che era un evento impressionante e innaturale. Dimostra anche che, in quel caso, i figli non venivano condannati a morte dal padre nel modo in cui certi prigionieri oggi vengono condannati a morte dai giudici moderni – cioè in modo affrettato, senza cura dell’essere umano e con superficiali formalità.

I figli possono odiare e uccidere i genitori come accade nell’Elettra di Euripide; ma lo stesso Euripide la definì una tragedia.

Il fondamento originario di una famiglia è il consenso, cioè la condivisione di certi spontanei attaccamenti che accadono anche nel regno animale e vegetale. Per questo motivo il padre di famiglia non è mai stato definito «il re della casa» o «il sacerdote della casa» o persino «il papa della casa». Il suo potere non è dogmatico e non è così ristretto da poterlo definire tale. Viene invece chiamato «il capo di casa», cioè la testa della casa. L’uomo è il capo della casa, mentre la donna è il cuore della casa. Il capo (o testa) è la parte del corpo che parla.

Il capo (o punta) di una freccia non è più necessario dell’asta. La punta di un’ascia non è più necessaria dell’impugnatura; al mero scopo di combattere preferirei rimanere con la sola impugnatura dell’ascia in mano, piuttosto che con la sola lama. Ma il capo (o la punta) di un’ascia e di una freccia sono la parte che entra per prima; è ciò che parla. Se voglio uccidere un uomo con una freccia, la punta è il mio portavoce. Se spacco il teschio di un uomo con un’ascia, è la lama dell’ascia che apre la disputa – e la testa.

Ora, la vecchia idea umana di famiglia su cui si regge la civiltà intendeva il «capo» nel modo che ho appena spiegato. Non ha nulla a che fare con un esasperato dispotismo e con l’avere il controllo sulla vita quotidiana altrui. Queste ultime insinuazioni sono nate molto più tardi, sono sbucate fuori dalla complessità impazzita di civiltà più evolute. Se autorità significa potere (e non lo significa), penso che la moglie ne abbia molto più del marito. Nella stanza in cui sono seduto, mi guardo attorno e considerando tutti gli oggetti che ci sono – il loro colore, chi li ha scelti, chi ha pensato alla collocazione – mi sento come se fossi l’unico uomo abbandonato su un pianeta di donne.

Tuttavia, se un militante politico bussa alla porta per perorare la causa dei Radicali Conservatori o dei Conservatori Radicali, sono io quello che deve andargli incontro. Se un ubriaco entra nel mio giardino e si mette a dormire sulle nostre aiuole, sono io quello che deve andare a controllare la faccenda. Se un ladro gira per casa di notte, sono io che devo parlargli. Perché io sono il capo, sono quella fastidiosa escrescenza sulle spalle che apre la discussione col mondo.

Fonte: Annalisa TEGGI | Aleteia.org

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