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SAN GIUSEPPE/ Le cinque W di un custode silenzioso

Non ripudiare Maria, assumersi la paternità putativa del Messia, fuggire in Egitto: san Giuseppe non disattese mai la volontà di Dio, anche nell’angoscia e nella fatica

La prima cosa che solitamente si legge sulla figura di san Giuseppe è che di lui, nei Vangeli, è scritto ben poco. Se però andiamo ad analizzare questo dato con attenzione, capiamo subito che i Vangeli, della figura di san Giuseppe, trattano eccome, e certamente non con poche parole.

La regola aurea del giornalismo anglosassone (e non solo) è quella detta delle cinque W: si tratta di cinque domande irrinunciabili alle quali chi scrive un contributo deve rispondere, per dare al lettore le informazioni fondamentali su un determinato tema. I Vangeli rispondono perfettamente a queste cinque domande quando ci parlano di san Giuseppe.

Who?: Chi era Giuseppe? Giuseppe era un “carpentiere” (Mt, 13,55; Mc, 6,3) “della casa e della famiglia di Davide” (Mt, 1,16; Lc, 1, 27; 2,4; 3,23).

Where?: Dove viveva san Giuseppe e dove si sviluppò la sua esistenza? Nella città di Nazareth (Lc, 2,4), poi in Egitto (Mt, 2,13), e dopo ancora di nuovo a Nazareth (Mt, 2,23).

When?: Quando visse e operò Giuseppe? Al tempo dell’imperatore Cesare Augusto (Lc, 2,1).

What?: Quali sono state le vicende principali che hanno caratterizzato la vicenda umana di Giuseppe? Giuseppe era promesso sposo di una vergine di nome Maria. Un bel giorno, Maria gli comunicò di essere incinta. Noi sappiamo che Maria “si trovò incinta per opera dello Spirito Santo”, ma il povero Giuseppe non lo sapeva, e pensò (come dargli torto?) di ripudiarla, in un tempo in cui Maria era una semplice donna di Nazareth.

Giuseppe, però, era “uomo giusto”, e decise di ripudiarla in segreto. La definizione di “giusto” è: “che opera secondo giustizia”. Di giustizia, dal punto di vista di Giuseppe, in quel momento ce n’era ben poca: egli, anzi, aveva appena subìto una gravissima ingiustizia: la sua promessa sposa era stata messa incinta (per quel che ne sapeva lui) da un altro uomo (fatto che sarebbe considerato riprovevole oggi, nel nostro modernissimo XXI secolo, figuriamoci duemila anni fa). Secondo il senso comune, la cosa più giusta che egli avrebbe potuto fare sarebbe stata proprio quella di ripudiare pubblicamente Maria, magari facendola prendere a sassate, come allora si usava fare con le adultere. Giuseppe ne avrebbe avuto tutte le ragioni del mondo. Nessuno lo avrebbe considerarlo ingiusto per questo.
Ma lui non lo fece. Quello che Giuseppe reputava realmente giusto era licenziare Maria in segreto, rompere sì il legame con lei, ma senza dire niente a nessuno, evitando quindi di esporre la ragazza alla pubblica vergogna. Un esempio al quale ripensare tutte le volte che, essendo dalla parte della ragione, ci sentiamo giusti nel far valere e sbandierare i nostri diritti.

Poi, a spiegare a Giuseppe che Maria non era solo Maria di Nazareth, ma la Madre di quel Messia che tutti, in Israele, stavano aspettando da qualche millennio, ci pensò un angelo inviato dal Signore, che “gli apparve in sogno” (Mt, 1,20). Giuseppe non indugiò, ma “fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa” (Mt, 1, 24).

Anche assumersi la paternità putativa del Messia non era proprio la scelta più facile che si potesse fare, ma Giuseppe il carpentiere non ci pensò due volte. E questo gli creò subito i primi problemi, perché poco dopo lo stesso angelo gli ordinò di prendere Maria e il piccolo Gesù e di andare in Egitto, in un’epoca in cui non c’erano né treno né traghetto né aereo.
Ed ecco che appena la famiglia stava iniziando a sistemarsi, il solito angelo riapparve e disse a Giuseppe di prender su di nuovo moglie e figlio e tornare nel paese d’Israele.

La risposta di Giuseppe a tutte queste richieste esageratamente grandi e difficili è sempre stata “sì”.

Le difficoltà non dovettero mancare nemmeno quando Gesù iniziò a crescere e a portare sulla terra i primi frutti del suo operato, come quando “rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero” (Lc, 2,43), provocando nei suoi genitori grande angoscia (Lc, 2,48).

Why?: L’ultima delle cinque W, nel caso di Giuseppe, può interessare due domande: perché Giuseppe ha accettato di prendere su di sé il peso di una missione praticamente sovrumana, o quanto meno per niente in linea con le umane aspirazioni? E ancora: perché, dopo l’episodio del tempio, di lui non si dice più niente?

La risposta alla prima domanda appare piuttosto semplice: Giuseppe rispose sempre “sì” perché quella era la volontà di Dio. Tutto ciò che viene detto nei Vangeli su Giuseppe, indica che egli conformò totalmente la propria vita alla volontà del Signore, pur nella fatica, pur nell’angoscia.

La risposta alla seconda domanda appare più complessa: si dà come dato acquisito che Giuseppe, quando Gesù iniziò a operare pubblicamente, fosse già morto. Se questo fatto è probabilmente reale, si può però anche pensare che forse, nell’intenzione degli evangelisti, vi sia stata anche la volontà di sottolineare un cambio di funzione in questa figura, che da attiva (da capo famiglia che “decide”, “pensa”, “fa”, “parte”, “ha paura”, “non comprende”) diventa contemplativa. La funzione di custode della Sacra Famiglia si trasforma, a partire dal momento in cui Gesù inizia a crescere, in una protezione silenziosa e mistica, la cui umiltà, per citare le parole dello scrittore Ernest Hello, “doveva raggiungere il suo silenzio […] e l’ombra del Padre cadeva ogni giorno su di lui, Giuseppe, il più forte, così forte che la parola osa a malapena avvicinarsi!”.

Fonte: Flavia MANSERVIGI | Sussidiario.net

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