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Usa. A New York la salute non è “diritto”. Ma ormai lo è l’aborto senza limiti

«Oggi stiamo compiendo un gigantesco passo in avanti nella dura battaglia per assicurare il diritto della donna di prendere le proprie decisioni sulla sua salute personale». Ha fatto appello a tutto l’arsenale della retorica politica il governatore dello Stato di New York, il democratico Andrew Cuomo, quando martedì sera ha firmato il Reproductive Health Act. Un civile provvedimento per garantire la libera scelta delle cure per le madri erogate gratuitamente dallo Stato? Non scherziamo, siamo pur sempre negli Stati Uniti, e la sanità non è certo un diritto. L’aborto invece sì, perché è noto che quando si parla di «salute riproduttiva » è questo che si intende: spegnere una vita nel grembo materno, e cos’abbia a che fare con la «salute» è davvero un mistero, che gli inventori di una perifrasi ipocrita per raggirare il senso comune portano sulla coscienza.

Ma l’esultanza di Cuomo e del fronte che dal 2006 si batteva per la nuova regolamentazione dell’aborto a New York è motivata dall’entità simbolica della conquista. Il Parlamento appena tornato a guida democratica ha infatti esteso la possibilità di abortire fino alla fine della gravidanza, e per eliminare ogni possibile equivoco ha tolto del tutto l’aborto dalle fattispecie considerate nel Codice penale. Così ora si può abortire sempre, e non più ‘solo’ fino alla 24esima settimana, se «c’è un’assenza di vitalità del feto o in ogni caso quando è necessario per proteggere la vita o la salute di una paziente». E se il primo caso comporta il riscontro di fatti oggettivi e una casistica circoscritta, nel secondo i confini della discrezionalità si fanno assai più ampi, visto che per «salute» si intende quella fisica come quella mentale.

Ma non basta. Per praticare l’«aborto tardivo», come viene elegantemente definita la soppressione di un infante pronto a venire al mondo, non è più indispensabile la presenza di un medico: bastano un suo assistente, l’ostetrica o un’infermiera professionale. In fondo, che ci vuole a far morire un bambino se si tratta di realizzare un «diritto»? Ma la realtà va guardata negli occhi, specie quando sono quelli di una creatura umana: e se le settimane di gestazione sono sufficienti a partorire un bebè perfettamente sano allora l’aborto si trasforma in un’altra cosa, un orrore inimmaginabile, un’esecuzione autorizzata dallo Stato, un infanticidio per consumare il quale servono metodi da braccio della morte. La differenza è che la pena capitale suscita disgusto, questa forma di crudele omicidio di un innocente indifeso invece viene fatta passare per un «successo» che «accende una luce brillante perché il resto del Paese la segua», secondo le parole del governatore, che del resto non ha fatto altro che aggiungere il suo Stato ai 19 che negli Usa che già permettono l’inumana pratica fino a un istante prima del parto. Cuomo è politico di parola: l’aveva promesso – la nuova non-regolamentazione dell’aborto entro il primo mese della legislatura dopo il voto mid term – e l’ha fatto, prendendo la mira sul calendario: il 22 gennaio, data della firma, coincideva con il 46° anniversario della sentenza «Roe contro Wade» con la quale la Corte Suprema aprì alla depenalizzazione dell’aborto.

E ora che a Washington la nuova maggioranza interna alla Corte fa temere ai democratici che si possa rivedere quel verdetto – considerato dai pro-choice un intoccabile totem – la città che vuole porsi come simbolo di libertà coglie la prima occasione utile per blindare il «fondamentale diritto delle donne di controllare il proprio corpo», celebrando la firma della legge con la Freedom Tower del One World Trade Center illuminata di luce rosa, come l’avveniristico ponte sull’Hudson dedicato a Mario Cuomo, papà di Andrew. A festeggiare la negazione radicale del diritto alla vita non è dunque la tetra capitale di una nazione totalitaria ma la Grande Mela, metropoli eternamente alla moda, snodo della finanza, crocevia di intellettuali, cuore del globalismo, passerella protesa sul futuro. E a mettere un bambino al nono mese di gravidanza sulla lista degli indesiderati sono esponenti dello stesso partito che ha ingaggiato un braccio di ferro col presidente Trump avversandone la truce idea di un muro per chiudere gli Stati Uniti ai poveri che dal Sud del continente si presentano alla sua frontiera. Voltano le spalle entrambi alla vita, costruttori di muri per fermare vita e speranza e spacciatori di ‘salute riproduttiva’ a spese dei figli d’uomo e di donna. E nella loro rincorsa del peggio mostrano a cosa si può arrivare quando viene negata la realtà nel nome di una ideologia, qualunque ne sia la bandiera.

Fonte: Francesco OGNIBENE | Avvenire.it

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