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Fortnite mania. Non sarà mica una dipendenza?

Si chiama Fortnite e a casa nostra è diventato un vero incubo. Dopo molte insistenze, mio figlio di 11 anni è riuscito ad averlo. Da allora non pensa e non parla d’altro. Sembra diventata una vera e propria ossessione. Faccio i salti mortali perché impari a rispettare i limiti di tempo giornalieri stabiliti con lui prima di acquistare il gioco. L’avessi saputo, non avrei dato il permesso. In queste settimane ho letto un po’ di articoli che parlano di questo videogioco come di una vera droga. Mi devo preoccupare?

CONCETTA

— Cara Concetta, moltissime mamme e papà stanno ogni giorno intraprendendo il medesimo tiro alla fune che tu stai sperimentando con il tuo undicenne. Io non ho mai giocato a Fortnite, ma ho compreso, ascoltando i ragazzi che l’hanno eletto a videogioco preferito, che è davvero uncinante. Se fosse per loro, non si staccherebbero mai dal piccolo schermo in cui avvengono tutte le battaglie di cui sono protagonisti in una competizione che li mette in connessione con altri cento videogiocatori, in una delle due versioni. Ho letto anch’io gli allarmi lanciati nei confronti di questo videogioco. Io penso che, come tutti i videogiochi ad alto potere immersivo e basati su meccanismi di competizione ed esplorazione, anche Fortnite abbia la capacità di “agganciare” in modo potente il cervello “emotivo” dei preadolescenti e tenerlo avvinto alle proprie dinamiche di gioco senza soluzione di continuità. Per cui un ragazzo comincia a giocarci e quasi senza accorgersene ne viene risucchiato, rischiando di dimenticarsi di tutto il resto. Scuola, compiti, amici, genitori possono passare in secondo piano quando uno è immerso nel suo schema di gioco e per questo diventa fondamentale sostenere il rispetto dei limiti di tempo che solo gli adulti possono definire e presidiare. Se i genitori abdicano a questo compito, i ragazzi non sapranno mai darsi un limite e tenderanno a permanere nell’esperienza del videogioco per tempi sempre crescenti e in modo sregolato. Tutto questo ha un costo: il tempo prolungato nei videogiochi è quello in cui non vivono le relazioni con gli altri, non leggono, non studiano e non danno stimoli al loro cervello cognitivo. Così diventano sempre più soli e sempre più isolati, cosa che produce molti effetti collaterali sulla loro salute organica e psicologica. Lo racconta molto bene Manfred Spitzer nel suo saggio Connessi e isolati (Corbaccio editore), in cui parla di una vera epidemia silenziosa che sta travolgendo il mondo occidentale, così iperconnesso eppure così solo, depresso e triste. Un libro che ogni genitore ed educatore dovrebbe leggere, condividendone alcuni passaggi anche con i propri figli.

Fonte: Alberto PELLAI | FamigliaCristiana.it

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