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Alessandro D’AVENIA – 34. A quale prezzo?

«Comunque se uno ha ancora delle domande basta andare su YouPorn». Così risponde un bambino di dieci anni alla sua insegnante, Thérèse Hargot, dopo una lezione sul concepimento. La nota sessuologa belga, che racconta la sua esperienza professionale nel provocatorio libro Una gioventù sessualmente liberata (o quasi), chiede chiarimenti all’alunno e si sente rispondere che lui e il fratello 13enne hanno da tempo affidato al sito di video porno la loro educazione «sentimentale». Qualche giorno fa una mamma di una scuola toscana ha scoperto sul cellulare della figlia un video condiviso tra alunni di medie ed elementari via whatsapp. Nelle immagini una bambina di dieci anni fa sesso con quasi coetanei, e ride, forse inconsapevole o, peggio, esperta della violenza subita. Tempo fa partecipai a un dibattito televisivo sulla pornografia. C’era chi elogiava il porno online dicendo che finalmente chiunque poteva «esprimersi», c’era la pornoattrice, soddisfatta della carriera intrapresa, senz’altro più redditizia di quella da segretaria, ma da cui, per sua stessa ammissione, avrebbe tenuto lontana la figlia. Sostenni, sulla base dell’esperienza professionale e di alcuni studi sui quali mi ero documentato, la correlazione tra la crescita esponenziale del consumo di pornografia e i numeri sempre più preoccupanti di violenza sulle donne. Aggiunsi anche che le prime vittime sono i bambini, che finiscono sui siti per caso e, soprattutto, senza strumenti per comprendere ciò che vedono. In rete e su alcuni giornali fui insultato, ma ricevetti anche conferme, come la lettera di un 25enne: «Avrei voluto essere al tuo fianco e parlare della mia catastrofica esperienza con la pornografia, per fortuna terminata (spero e voglio che sia per sempre). Mi ha colpito la tua frase su ciò che può accadere a un bambino che per sbaglio guardi porno: purtroppo è ciò che è successo a me da piccolo. La mia adolescenza è stata un disastro per colpa di questa “piaga”, una vera e propria porno-dipendenza, alla pari di alcool, sostanze, gioco. Ora sto meglio, ma il cammino per recuperare il controllo su me stesso è stato molto difficile». Recuperare il controllo è il processo – difficile e tutt’altro che garantito – alla base della lotta contro le dipendenze. A quelle odierne, ma se ne parla troppo poco, è stata aggiunta nei manuali di psicologia la pornografia, a causa della grande facilità di accesso a questi contenuti in rete. Il termine ha origine dal greco antico «vendere», da cui pornè (prostituta) con l’aggiunta di grafia (rappresentazione). In italiano è rimasta traccia della radice antica nella parola «prezzo». Di questo si tratta: un mercato di oltre 100 miliardi di dollari l’anno.

Negli Usa (ad oggi produttore dell’85% dei contenuti) la sola pornografia online frutta 3 miliardi di dollari l’anno, 5 in tutto il mondo. Infatti ogni secondo 28milla persone consumano porno (il 61% degli accessi da smartphone) e spendono 3mila dollari in oggetti e videochat. I siti porno occupano il 12% della rete, una ricerca su quattro e un download su tre riguarda materiale pornografico, e – dato più allarmante – ogni giorno ci sono più di 100mila richieste di video porno con bambini. Il 90% dei ragazzi tra 8 e 16 anni consuma pornografia in rete e, quasi sempre, la prima volta è accaduto casualmente (l’età media per il primo video è 11 anni). Il 74% dei consumatori abituali sono uomini e il 26% donne: tra i maggiorenni 9 maschi su 10 e 1 donna su 3. Il 60% degli utenti sono i cosiddetti millennials (i divenuti maggiorenni dal 2000 in poi) e il 31% ha meno di 24 anni. È quindi chiaro che oggi la prima fonte di educazione sessuale delle generazioni cresciute con la rete è il porno, il cui immaginario si impone come modello per la vita reale. Prima il futuro consumatore viene agganciato, prima diventa dipendente: strategia per vendere mirata soprattutto a chi ha meno difese.
Ma a quale prezzo? La dipendenza blocca l’immaginario sessuale a uno stadio immaturo e violento. Secondo gli studi: i ragazzi che consumano abitualmente pornografia subiscono una destrutturazione della visione del femminile, abituandosi all’idea di dominare e sottomettere la donna; le ragazze invece maturano una maggiore propensione ad assumere il ruolo di vittima o di oggetto da possedere (che nelle dinamiche psicologiche delle adolescenti, già fragili e ansiose di ottenere l’attenzione dell’altro sesso, può trasformarsi nell’unico modo per essere desiderate). In questa proiezione fantastica del sesso si perde lo spazio per accogliere, il copione erotico da eseguire blocca la creatività della tenerezza. Molte adolescenti raccontano che il primo rapporto sessuale, loro malgrado, è stato violento, e questo perché i maschi cercano di imitare ciò che hanno guardato. Molti rimangono delusi dalla realtà perché i corpi porno-grafici proiettano nella fantasia rapporti iperbolici e irreali, fino a far diminuire il desiderio erotico. La pornografia elimina il mistero e la scoperta necessari all’eros, il corpo non è più soglia da rispettare e parola da ascoltare ma oggetto da consumare. I corpi, nella vita vera, non sono perfetti e inesauribili, spesso di fronte all’altro siamo impacciati, fragili, timidi, qualità che nell’adolescenza magari detestiamo, ma che invece sono essenziali perché l’amore sia ciò che cerchiamo: accogliere ed essere accolti nella propria fragile nudità, amare ed essere amati così come siamo, non come dovremmo essere. La parola sesso viene infatti dal latino secare, tagliare, a indicare il taglio profondo tra il maschile e il femminile, ricucito proprio dalla forza tenera dell’abbraccio totale (amplesso significa questo). In questo senso nella pornografia non c’è troppo sesso, ce n’é troppo poco.

Per la Hargot la rivoluzione sessuale ha cambiato solo apparentemente il rapporto con il sesso. La diversificazione e moltiplicazione precoce delle esperienze sessuali ha aumentato e anticipato le domande, ma gli interrogativi restano gli stessi di prima: comprendere il senso della corporeità e delle relazioni. I ragazzi infatti le chiedono: che cosa significa fare questo? Questo si può fare o è pericoloso? É normale fare questo? Sperimentano prima di sapere cosa significhi ciò che fanno, perché l’imperativo è provare e consumare. La liberazione dai tabù, dice l’autrice, è apparente, perché è subentrato un altro comandamento: «fare bene», avere una buona performance. Il tabù superato è meramente funzionale (conoscenza di oggetti e pratiche), non sostanziale, anzi ci si è sottomessi alla logica del consumo: i ragazzi non scoprono il sesso ma lo subiscono da un immaginario adulto, che ha come scopo vendere. Il porno online, a disposizione gratuitamente in qualsiasi momento, è un Paese dei Balocchi dal risveglio amaro. Si potrebbe obiettare che in fondo è il modo di assecondare gli istinti sessuali e conoscere il corpo, ma qualsiasi educatore sa che l’ultima cosa da fare per educare è soddisfare i desideri anarchici del bambino e dell’adolescente, e non per devozione a regole ed etichette, ma semplicemente perché il desiderio senza limiti e non guidato dalla ragione è (auto-)distruttivo: nessuno dà del whisky a un bambino perché gli piace il colore o a un adolescente perché è triste.

Il consumismo ha un unico comandamento e dovere, godere, ma ha bisogno di farci dimenticare che il piacere è l’accompagnamento sensibile, l’eco emotiva, di qualcosa la cui profondità è altrove. Se non c’è profondità nella comunione di vite, e questo richiede tempo e impegno, il piacere diminuisce, e allora si cerca rimedio aumentando la quantità delle performance o potenziando la performance stessa, come accade in tutte le dipendenze. Il porno impone alla persona immatura di essere all’altezza, e molte disfunzioni sessuali dipendono proprio dall’ansia da prestazione: i «sono stato bravo?» diventano più numerosi dei «ti amo». La prestazione è conformismo a modelli iperbolici e immaginari, anziché scoperta e tenera accettazione dell’unicità e fragilità dell’altro. Il sesso mostra come amiamo: crea, inventa, scopre, stando in ascolto del corpo altrui, la parola più vera e nuda che l’altro ha da dirci e darci. Il porno invece destruttura la capacità di ascolto dei sensi, sostituisce all’amore, che è creativo perché ricettivo, il possesso, la performance, il consumo. Il porno blocca l’immaginazione su corpi incongruenti con la quotidianità e i limiti umani: in sostanza insegna il dongiovannismo seriale, che avvelena il desiderio, anziché la pazienza e la tenerezza dell’eros, che alimenta l’amore.

Se i ragazzini guardano i porno nelle ore scolastiche è perché lo stesso accade in molti luoghi di lavoro. La sfida educativa è come sempre lanciata a noi attraverso lo specchio che i ragazzi ci reggono. La diffusione della porno-dipendenza interroga il nostro stile di vita, l’obbligo consumistico del corpo femminile, la mancanza di una tempestiva educazione familiare sul significato di una relazione, un corpo, un gesto. Ogni tanto chiedo ai ragazzi di spiegarmi la differenza tra carezza, abbraccio, bacio sulla guancia o sulle labbra, e non riescono: spesso è tutto indifferenziato. Invece sanno spiegare in dettaglio cosa è il bondage o il sexting. Il letto da rifare oggi è difendere i bambini con gli strumenti di navigazione protetta ed educare i giovanissimi al significato dei gesti che accolgono e rispettano il corpo proprio e altrui, prima che la violenza del porno renda, persino una carezza, un reperto archeologico.

Fonte: Corriere.it

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