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Riconoscere la realtà o crearla?

Il 13 ottobre a Genova la convegno su Humanae Vitae Sua Eminenza il cardinal Angelo Bagnasco ha fatto un intervento lucidissimo e di grande bellezza. Questi sono i miei appunti: non il testo che ha pronunciato. Spero di essere stata abbastanza fedele nel riferirlo.

Paolo VI nello scrivere Humanae Vitae raccoglieva le preoccupazioni che allora si diffondevano per l’eccessiva popolazione. Preoccupazioni sospette, spesso dettate da interessi commerciali. In realtà la terra è ancora quasi tutta da coltivare, e offrirebbe risorse per una popolazione molto maggiore di quella attuale. In realtà gli stessi che lanciano inesistenti allarmi sulla bomba demografica – che non esiste – spesso finiscono per comprare le terre, come avviene per esempio in Africa, che potrebbero offrire le risorse più abbondanti. Ricordiamo peraltro che nessuno stato ha diritto a stabilire il numero dei figli consentiti, o a mettere un limite, e su questo tema non ho mai sentito neppure una voce di protesta.

Voleva poi occuparsi del fattore culturale, cioè di chiarire il significato degli atti coniugali. Infine voleva raccogliere la sfida che cinquanta anni fa si intravedeva. Secondo Romano Guardini l’epoca futura non avrebbe dovuto affrontare il problema di come far aumentare il potere, perché la scienza e la tecnologia ne avrebbero conquistato uno grandissimo, ma di come far sì che questo potere venga governato dall’uomo, che altrimenti ne sarebbe stato mangiato. L’uomo però tende a continuare ad aumentare questo potere, a non limitarlo.

Ha diritto la Chiesa, con il suo magistero, di dare indicazioni in materia?

La domanda sulla legitimmità del ruolo della Chiesa è ancora motivata, per due ragioni: per l’affermarsi del nichilismo valoriale, per cui l’individuo tende a essere norma di se stesso; per la metamorfosi del soggetto umano, per mezzo della quale la persona viene trasformata in individuo, libero in modo solipsista, insopportabilmente solo. La sua trasformazione è completata dal secolarismo, a causa del quale l’uomo vive come se Dio non ci fosse, e i legami, percepiti come limitazione insopportabile, vengono sciolti.

Lo scopo di questa mutazione è manipolare meglio l’uomo e la società. Ma anche, sul piano noetico, sta cambiando il paradigma della ragione: si sta affermando il positivismo scientista, secondo cui si conosce solo ciò che può essere misurabile. Solo ciò che è misurabile esiste. Lo spirito, i valori morali, il significato, il senso vengono confinati nel privato. La sorgente è nel nichilismo valoriale che si rifa a Nietzsche – ma potremmo trovarne le radici anche molto prima – che ha ormai svelato il suo paradigma di fondo, cioè il progressivo distacco dalla realtà oggettiva.

Ciò ha portato a una differente concezione della dignità umana. Non più come costitutiva della persona ma fondata, come vuole il materialismo evoluzionista, sullo spirito come volontà del soggetto, per il quale il corpo è un accessorio. Una spiritualizzazione dell’uomo che ricorda l’antico e ricorrente gnosticismo. Se la vera dignità consiste nella volontà, allora si può usare il corpo come si vuole: come fonte di piacere o per annientarlo. Invece per noi che crediamo nell’incarnazione del verbo la dignità è ontologica, indipendente dalla volontà.

Per esempio, io non decido se sono maschio o femmina. Decisioni simili tentano di elevare l’uomo alla dignità di Dio, lo scimmiottano nella sua volontà creatrice. La manipolazione di me stesso scimmiotta Dio.

In questo contesto, che ci sia o meno il riconoscimento della realtà è la sfida ultima. Riconoscere la realtà o crearla?

Occorre entrare nell’agone culturale, e farlo senza complessi. Secondo Romano Guardini l’uomo occidentalista (non semplicemente occidentale) vive in un clima artificioso e malato.

In questo contesto, l’Humanae Vitae ricorda che l’uomo è creato da Dio per amore, ed è creato per amare. Egli ha una casa e un destino. Ha una vocazione: compiere se stesso. Egli si riceve da Dio. Dio consegna l’uomo all’uomo, che è prima di tutto dono per se stesso. Dio, che è amore, ci ha concepiti come dono, e quindi siamo dono, compito e promessa: la nostra intrinseca dignità deve diventare valore per il singolo. È fondamentale che io riconosca la mia dignità, ma non basta: deve diventare anche un valore. Per me e per gli altri. Allo stesso modo non basta sapere che Dio c’è. In effetti, come dice Cornelio Fabro, la più raffinata forma di ateismo è dire “se Dio c’è, non c’entra”. Non basta sapere che Dio c’è, serve rendersi conto che c’entra qualcosa con ogni cosa. L’indifferenza è l’altro nome dell’ateismo.

Ogni cosa c’entra con la dignità umana, ogni cosa. Si può mangiare e bere da uomini, o da altro. Allo stesso modo la sessualità deve esprimere ontologicamente ciò che sono, altrimenti non è giusto. Noi non siamo giusti con noi stessi se non viviamo nel rispetto di ciò che siamo.

L’icona e il criterio dell’amore è Gesù Cristo crocifisso.

Nulla esprime meglio l’intento di Dio nella creazione che i coniugi che si uniscono e diventano una carne sola, con un inscindibile fine unitivo e procreativo, intrinseco all’amore stesso: ogni amore o è fecondo – cioè genera vita – o non è (anche l’amore di amicizia genera vita).

Humanae Vitae afferma la bellezza e la verità dell’amore in una visione personalistica: quando la procreazione viene limitata, ciò viene fatto per vie naturali, cioè l’uomo e la donna non intervengono positivamente per limitare le nascite. Non è lecito fare un atto positivo contro il concepimento, e non è lecito neppure in una vita complessivamente feconda. Gli atti intrinsecamente cattivi non ammettono eccezioni: c’è un’oggettività degli atti che sono intrinsecamente non ammissibili anche se le circostanze possono attenuare l’imputabilità morale. Sappiamo che la via è alta, e che al mondo può suscitare paura. Ma non dobbiamo fare conto sulle nostre forze, bensì sul nostro nulla, che in Gesù Cristo è la nostra forza.

Fonte: BlogCostanzaMiriano.com

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