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Per qualcuno l’aborto è più aborto che per gli altri

I laburisti britannici chiedono di vietare l’uso dello screening precoce per dire alle donne in gravidanza il sesso del nascituro: rischio aborto selettivo. Ma per i disabili nessun allarme

Il maggior partito della sinistra britannica contro l’aborto selettivo. È la notizia sorprendente apparsa l’altroieri nel sito del Catholic Herald. La riportiamo di seguito:

Il Partito laburista britannico chiede che sia vietato comunicare alle donne in gravidanza il sesso del loro figlio attraverso l’esame del sangue precoce, per timore che la pratica porti all’aborto delle femmine.

Naz Shah, responsabile del partito per le donne e l’eguaglianza, ha detto che è «assolutamente sbagliato» che le donne subiscano pressioni a favore dell’aborto nel caso in cui il bambino in arrivo sia femmina. Secondo la Shah, alcune donne usano lo screening prenatale non invasivo (Nipt – Non-Invasive Prenatal Test) per determinare il sesso del nascituro e poi abortire a seconda dell’esito.

Il Nipt comporta il prelievo di un campione di sangue dalla madre durante le prime fasi della gravidanza, alla ricerca del Dna del figlio, che sarà poi analizzato per valutare il rischio di condizioni genetiche come la sindrome di Down. Tuttavia con questo esame si può anche stabilire il sesso del bambino: di qui il timore che le donne di alcune comunità culturali possano subire pressioni a favore dell’aborto se il nascituro è femmina. Sebbene i medici del National Health Service (servizio sanitario nazionale) non possono utilizzare questo screening per comunicare ai genitori il sesso del figlio, le cliniche private possono condividere l’informazione dietro pagamento.

«Il Nipt dovrebbe essere utilizzato per lo scopo previsto, cioè esaminare condizioni gravi come la sindrome di Down», ha detto la Shah. «Il governo deve affrontare questi abusi e adottare le opportune limitazioni». La richiesta rappresenta un cambiamento significativo nella linea dei laburisti. Nel febbraio del 2015, una larga maggioranza dei parlamentari del partito ha votato contro un esplicito divieto dell’aborto selettivo, determinando la bocciatura della proposta. Alcuni parlamentari, tra i quali la Shah, hanno anche sostenuto campagne a favore dell’aborto on demand per qualunque motivo fino alla nascita.

Come detto, si tratta di una notizia sorprendente. Un significativo «cambiamento di linea» per la sinistra britannica, come lo definisce il Catholic Herald. Ancora non riescono a spingersi a chiamarlo “femminicidio” (come per altro qualcuno in Italia ha provato a fare anche di recente, incassando le solite contumelie dei “laburisti” nostrani, oltre che una ingiustificata censura), ma comunque è già qualcosa che un partito progressista occidentale giunga ad ammettere che un giorno quell’esserino, quel grumo di cellule, “sarà” una donna, e in quanto tale non va eliminata, nemmeno adesso che donna non è ancora. Almeno non lo è in teoria.

Se si riesce per un attimo a passare sopra alla contraddizione, o meglio al contorcimento logico, indubbiamente è una posizione apprezzabile, considerato da chi viene. C’è però un altro problema al quale è impossibile passare sopra. L’argomentazione utilizzata dalla responsabile dei laburisti per l’eguaglianza non è molto egualitaria: quell’esame, dice Naz Shah, «dovrebbe essere utilizzato per lo scopo previsto, cioè esaminare condizioni gravi come la sindrome di Down». Di grazia, che cosa intende dire la signora? Il ragionamento non è svolto fino in fondo e non è giusto concludere i pensieri altrui, ma non ci vuole neanche troppo cinismo per intuire che qui il sottinteso, il non detto, rischia di essere tremendo tanto quanto il femminicidio in utero.

Osserva un’associazione britannica proprio commentando (positivamente) la presa di posizione di Naz Shah:

«Ci sono però ancora gravi problemi riguardo all’uso dello screening prenatale non invasivo, in particolare riguardo al modo in cui troppo spesso il test porta all’aborto di bambini affetti da disabilità, compresa la sindrome di Down. Se da una parte abbiamo fatto grandi progressi nelle terapie per i disabili, dall’altra è sbagliatissimo che così tanti bambini Down vengano soppressi».

Del resto, i timori di Naz Shah purtroppo sono supportati da dati che nessuno può mettere in discussione: in certe «comunità culturali» dire a una futura mamma che il bambino in arrivo sarà femmina è pericoloso perché in base a quella informazione la donna potrebbe decidere di abortire. Ma allora nella nostra «comunità culturale» non è altrettanto pericoloso, se non perfino di più, usare lo stesso esame medico per stabilire se il bambino in arrivo sarà Down? I dati su questo sono peggio che allarmanti. Contro i Down è in corso un’ecatombe in questa parte di mondo. Dove adesso, a quanto pare, per fortuna non si può discriminare le donne in quanto tali, nemmeno quando sono “già e non ancora” tali. I disabili invece sì?

Fonte: Pietro PICCININI | Tempi.it

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