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Alessandro Bergonzoni: «Uomo, fai della tua vita un capolavorato»

Un narratore di teatro unico nel suo genere racconta il Paese reale a favella battente nel suo ultimo spettacolo “Trascendi e sali”

E pensare che c’era il pensiero, proclamava già parecchio tempo fa un allarmato Giorgio Gaber. Ma passi una fresca serata milanese a teatro e poi un mattino fradicio di calura e zanzare ascoltando Alessandro Bergonzoni e hai la percezione cristallina che un pensiero, anche forte, prima o poi possa tornare. Magari sussurrato o urlato a favella battente come fa il più civile dei narratori da palcoscenico.

Lì, sopra o sotto la sua torre dell’ultimo spettacolo Trascendi e sali (due settimane di sold out all’Elfo di Milano e riprese molto attese in autunno) che gli ha cucito addosso il co-regista e mentore storico Riccardo Rodolfi, comanda lui. E per il popolo vario, ma mai avariato dei bergonzoniani, il suo verbo è illuminante fin dai tempi di Sceneggiata (debutto teatrale nel 1982) e de Le balene restino sedute primo – nel 1989 – di una decina di libri in cui il 60enne (li ha compiuti il 21 luglio) artista bolognese condensa un talento che sfugge a ogni classificazione.

«Sono un alce in deltaplano. Scappo dalle mani di chi mi vuole satiro, parodistico, comico, attoriale. Io non ironizzo, trascendo e salgo, poi mi ritrovo a Dublino perché in quello che scrivo hanno rinvenuto tracce dei Finnegans Wake di Joyce: libro che ho letto ora, in netto ritardo, come tanti altri autori del resto. E non gioco a fare la parte dell’incolto che va tanto di moda tra i “radical choc”. Io negli ultimi dieci anni ho scritto e basta – due ore al giorno – i miei libri, i miei testi teatrali. Scrivo a penna, e quando la scrittura deve farsi saggio o articolo di giornale, beh allora uso il pc che però considero alla stregua della ruota. Può essere utile certo, ma se la ruota poi è quella di un tir che va sparato a cento all’ora addosso alla folla diventa devastante per me, per te, per tutti».

Tutti applaudono, ed escono rincuorati dopo quasi due ore di Trascendi e sali, narrazione teatrale che nasce dal senso di umana stanchezza. «Mi sento stanco vivo e non stanco morto. Sono saturo della monodimensione, del monostrato. Io non divido più: io uomo, sono “arte contemporanea”, in quanto devo essere contemporaneamente un medico, un padre, un migrante. Dobbiamo tutti sforzarci di fare un salto mentale: vivere e pensare partendo da uno “choc pretraumatico”, ciò che permette di compenetrare le anime dei genitori e i fratelli di Federico Aldovrandi e di Stefano Cucchi».

I loro nomi gridati da un Bergonzoni giacomettiano, uomo in cammino dietro un telo, in sala smuovono le coscienze, anche quelle più sedute. «La tortura non è solamente un tema di giustizia ma una questione estetica: la bellezza di un corpo abusato. Quando un poliziotto uccide, ed è comprovato in questi due casi denunciati e chissà quanti altri taciuti, io devo capire… Perché il poliziotto che viene ucciso in servizio è tragico ma sta facendo il suo mestiere; una persona che viene fermata in strada e massacrata di botte è una deturpazione dell’arte, della bellezza di quel corpo che io ho affidato a te Stato affinché te ne prenda cura e tu possa renderlo migliore».

Non è la filosofia o l’estetica di Bergson, ma il pensiero scorticante di Bergonzoni al centro del palco. «Il teatro lo uso per andare nel vero Senato. Il mio Parlamento reale ha sede nei musei, negli ospedali, nelle scuole, nelle carceri. Luoghi in cui entro per raccontare della bellezza dei corpi, specie quelli ammalati: i volti deformati e sbavanti di Bacon che ritrovo ogni volta nella “Casa dei risvegli” di Bologna». Il Centro della sua città di cui è testimonial da anni. «Ecco testimonial, essere testimoni. Se trascendi e sali, non ti eremitizzi. Il personaggio pubblico, l’uomo di spettacolo deve essere prima di tutto con la gente e nella gente, deve diventare quella persona. Per farlo occorre una “speleologia dal-l’alto”. Da lassù comprendi che anche essere eletti non è un tema politico, come i votati non sono i nostri politici, ma esistono i votati al martirio, al sacrificio».

Una lettura di questo tempo presente in cui istrionico chiede di «ascoltare tutti, specie chi è costretto a convivere con il dolore eppure riesce ancora a dire: “Io vivo nella mia bella dignità”». Trascende, sale, suda, deforma il corpo e l’espressione ma questo strano soggetto, mai smarrito, semplicemente pretraumatizzato, continua a regalare risate. «Cospargo il teatro di “mine pro uomo”: la gente ci sale sopra e scoppia dalle risate. E anche questo vuol dire deflagrare, aprirsi a una nuova dimensione interiore. Vorrei piantare questa torre in ogni città. Ma una torre alta fino a dove? Larga fino a chi? Profonda fino a quando?».

Si accalora dentro il suo corpo ossuto di portatore sano di emozioni, ha capelli lunghi e sguardo profetico ma Bergonzoni anela «alla poetica, all’etica e non alla profezia. Io sono un artista perciò non educo, racconto. Io sono un ponte, ho sulle spalle chi mi attraversa e io posso attraversare la realtà da una condizione di privilegiato. Tant’è che la mia “lettura” viene spesso travisata. Mi chiedono: traduci questa lingua qui, rendila più fruibile alla massa, al popolo dei telespettatori». Quello stesso popolo che alla metà degli anni ’80 lo aveva consacrato a icona dal salotto televisivo del Costanzo Show. «La prospettiva è cambiata, ora la gente mi ferma e mi dice: “Ho avuto il piacere di non vederla in tv”… Io sto studiando il tema della cura, dell’ospedale, delle malattie e non ho ancora grandi certezze in merito, mentre ho la netta percezione che la tv ammala, che possa infettare anche le menti più lucide ed eccelse. La tv spazza via il linguaggio, riduce a nulla il rapporto con l’altro, fa entrare in una dinamica monotematica ti cambia la vibrazione, la frequenza».

Il suo appello è: dobbiamo vivere di “visioni” non di televisioni. «Ma la visione ci fa paura, pone il conflitto: “Uomo vs Luce”. Alle volte mi dicono: “Non ti seguo!” Giusto, ma tu non mi devi seguire, tu mi devi precedere. Tu devi precedere me, il politico, il santone. Noi diciamo sempre “Sua Santità”. E la mia santità? Io non relego più la mia anima a nessuno, io devo essere “mia santità”. I don Ciotti fanno la metà dell’opera, il resto devo farlo io che ho tutti gli strumenti per rendere la mia vita “capolavorato”».

Sul palco e soprattutto una volta sceso dalla torre, la sensazione è che Bergonzoni viva, e non reciti, con lucida visionarietà il nostro tempo malato di «egopatia, una delle tante patologie che richiedono un vaccino, ma deve essere il vaccino “giusto per me”». Un antidoto che renda immuni dal virtuale dominante, «da quando, pace all’anima sua, un signore americano ci disse: “Sognate e siate liberi davanti a un computer”. Il problema è che ora c’è un universo di persone, giovani e adulti, che davanti al pc passano 24 ore al giorno e poi devono strapparle da lì e correre a ricoverarle in clinica».

Ma c’è un computer interiore che può e deve funzionare «al di là di quelli dai movimenti meccanici: ingrandisci, cerca, invia… Per fortuna poi arriva il “Salva!”. Ecco salva dentro di te l’alunno di domani che sarà chiamato a governare questo Paese, salva l’uomo malato che soffre in un ospedale finché non scopre il momento salvifico di chi si prende cura di lui». E infine salva il migrante. «Nello spettacolo a un certo punto dico: il migrante lo salviamo a casa sua, lo salviamo a casa mia, lo portiamo a mangiare fuori? “Cessate il cuoco”. Siamo tutti un po’ vittime di questo eccesso del troppo cibo e del troppo bere, quasi ci fosse un duce che ti impone di ingurgitare quantità industriali che il nostro corpo non regge più».

Per reggere al meglio il peso di questo mondo per Bergonzoni «ci vorrebbero 365 Papi. Quando papa Francesco è venuto a Bologna gli ho mandato un video in cui dicevo: “Scambiatevi le fedi”. Non era provocatorio ma il messaggio ha scandalizzato certi cattolici, che poi scopri sempre essere quelli che si trincerano dietro l’ipocrisia e l’ambiguità. Io prego, credo e ascolto quelli che mi avvertono: “Occhio, nella Chiesa ci sono anche tanti papa-taci”!».

Ci sono troppi criminali in giro che per lo speleologo dalla torre hanno «causato il “Geniocidio”, hanno ucciso la nostra parte femminile. Hanno seminato una follia quotidiana che davanti a una telecamera fa dire a un portiere di calcio che “l’errore dell’arbitro è un crimine contro l’umanità sportiva”. E appena ha finito di dirlo al Tg mandano subito il filmato sui bombardamenti in Siria… E l’Europa che fa? Dovrebbe andare a fondo! Servirebbero risposte per “l’inchiesto” e l’agenda diventa “agendo”. E devi agire senza più aspettare la politica o il leader promesso con le sue promesse, perché qui e ora, non ci sono più le anime belle che ti salvano… Devi salvarti tu facendo della tua esistenza e del tuo corpo opera d’arte».

Il sipario si chiude con un refolo di speranza dopo una tempesta di sabbia mortale. «E andare all’altro mondo non vuol dire più morire ma semplicemente passare a un mondo completamente diverso da questo. Pertanto, stiamo sereni fino a quando non saremo cielo». Un narratore di teatro unico nel suo genere racconta il Paese reale a favella battente nel suo ultimo spettacolo “Trascendi e sali”, tra i più attesi dell’autunno «Il cambiamento parte da uno “choc pretraumatico” dentro ognuno di noi Il mio vero Parlamento è nelle scuole, nelle carceri, negli ospedali dove vado a raccontare della bellezza dei corpi che lo Stato deve tutelare, migliorare e impedirne la tortura» ISTRIONE. Alessandro Bergonzoni, in scena dal prossimo autunno con “Trascendi e sali”

Fonte: Avvenire.it

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