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Da Modena Wiligelmo parla ai giovani della loro sete di Dio

Come ogni estate i giovani vengono a trovarci, popolano gli spazi antistanti al nostro Convento, i boschi si riempiono di tende, il cielo di urla e improvvisamente il panorama silenzioso e un poco austero del Montefeltro cambia volto. Quando se ne vanno tutto ritorna come prima, lasciando l’impronta forte di un passaggio di vita.
Quest’anno le visite dei giovani si caricano della prospettiva del prossimo Sinodo. Con alcuni stiamo facendo un cammino, una sorta di preparazione remota a un evento che tenterà di mettere in luce il perché dell’abbandono della fede, della dispersione di molti giovani. Si cercherà, insomma, di mettere il dito nella piaga.
Nell’ultimo weekend a Rimini si è festeggiata la notte rosa. In alcune ore i treni hanno registrato il tutto esaurito e si sono visti invadere da un esercito rosa, quasi il biglietto da visita per entrare nel grande paese dei balocchi. In questa macchia rosa fluttuante lungo le carrozze di un regionale qualcuno ha notato un gruppetto di una trentina di ragazzi, vestiti di giallo. Questi, diretti a Rimini, venivano in realtà al nostro Convento per fare il punto sulla propria vita e per celebrare quella stessa notte, insieme con noi, una veglia.
Il contrasto stridente testimonia con efficacia quello che una recente indagine su “Giovani e fede in Italia” ha messo in luce: i giovani hanno sete della fede. Hanno sete di vedere Dio passeggiare nuovamente nel giardino della loro giovinezza. Sì, hanno sete tanto quanto Dio ha sete delle loro turbolenze, dei loro dubbi, delle loro domande del loro desiderio di verità, soltanto assopita entro un qualunquismo strisciante che tende a narcotizzare le coscienze.
Nel 1184, proprio il 12 luglio, Papa Lucio III consacrava il duomo di Modena. Qui uno scultore originalissimo aveva realizzato fregi esterni che ancora oggi raccontano all’uomo la sete di Dio. Non c’è bisogno di entrare in chiesa per ascoltare la narrazione del Mistero, come intuirà Gaudi molti secoli più tardi, basta passare davanti al Duomo ed ecco descritto il dramma di due desideri che solo in Cristo hanno trovato compimento: quello dell’uomo verso Dio e quello di Dio verso l’uomo. Affondo lo sguardo in uno dei fregi di Wiligelmo. Adamo ed Eva hanno già consumato il peccato. Hanno le loro foglie di fico addosso e si sono scoperti vulnerabili, finiti. L’eternità è andata in frantumi e quel Dio amato e famigliare è diventato estraneo e temuto. Dio si presenta passeggiando nell’Eden, un cartiglio lo dice: Dum deambularet Dominus in Paradisum (Mentre Dio camminava in Paradiso). Impressionano gli sguardi persi dei progenitori, essi si coprono la faccia di fronte al manifestarsi del Mistero. Ma Dio li sorprende, e mi commuove la granitica intuizione di Wiligelmo: con la faccia di Cristo, la stessa faccia di Colui che un giorno guarderà l’uomo con occhi divini, il Padre allunga il dito toccando il fianco di Adamo.
Sì, Dio per primo mette il dito nella piaga. Il buon san Tommaso lo farà all’indomani della risurrezione, sul corpo di carne del Salvatore, ma il Padre lo aveva già fatto, aveva già detto all’antico Adamo che c’è un rimedio per la sua dispersione.
Così Wiligelmo racconta ai giovani di oggi e di ieri che c’è un rimedio per la loro dispersione: solo Cristo sa mettere veramente il dito nella piaga delle nostre ansietà, occorre coraggiosamente manifestare il male, egli ci guarirà: il suo fianco ferito, sorgente dei sacramenti, guarirà le nostre piaghe e Dio tornerà a passeggiare nel nostro giardino.

Fonte: Gloria RIVA | Avvvenire.it

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