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LETTURE/ Papa Francesco, la fede non ha paura di Kierkegaard e Pirandello

Papa Francesco, parlando con i seminariti di Roma, ha recentemente messo in relazione l’umorismo con il “relativismo buono”. Un attacco alla ragione e ai fondamenti?

Lo scorso 6 giugno L’Osservatore Romano ha pubblicato il resoconto di un interessante incontro avvenuto lo scorso marzo in Vaticano tra il Papa e i seminaristi residenti nei Collegi Romani. Tra i tanti temi toccati, il Pontefice ha evidenziato come sia l’umorismo uno dei segni di maggiore maturità spirituale di un uomo di Dio. Già nel XIX secolo Kierkegaard spiegava come l’ironia fosse l’antidoto più potente ad ogni forma di potere totalitario o assoluto: nella risata tutte le cose vengono riportate alla loro giusta dimensione, vengono relativizzate. Esistono infatti due relativismi: uno del soggetto, che pretende di sostituire la realtà, i fatti, la natura delle cose, con l’impressione o l’interpretazione che il singolo ha di essi. È questo il relativismo tante volte stigmatizzato da Papa Benedetto, assunto a dittatura in cui non c’è più spazio per il dato oggettivo, in cui la verità si frammischia alle considerazioni dell’individuo e tutto diventa incerto e alla mercé delle mode del momento.

Questo relativismo chiude l’orizzonte dell’uomo, rendendolo incapace di entrare in contatto con qualcosa di vivo, assoggettandolo alle suggestioni e alle elucubrazioni della mente, riducendolo ad un grumo di permalosità e di reazioni che fanno del proprio Io la misura di tutte le cose.

Tuttavia esiste pure un relativismo oggettivo che, per usare un’espressione cara alla teologia medioevale, si propone di guardare a se stessi e agli altri sub specie aeternitatis, alla luce di qualcosa di più grande di tutte le impressioni da cui può essere stato investito il soggetto. L’umorismo, come direbbe Pirandello, è quel sentimento del contrario che ci restituisce un punto di vista diverso sulle circostanze, un punto di vista che ci fa percepire quanto accade dentro il grande dramma della vita, dentro la grande storia che non ha per protagonista l’ego smisurato dell’uomo e i suoi giudizi sprezzanti, bensì la consapevolezza di essere dei poveretti salvati e soccorsi da Cristo. Essere ironici fa così emergere di più il valore dell’eternità rispetto alle contingenze del presente, costringendo la persona a guardare le circostanze per quello che sono e non per quello che rappresentano o suscitano.

Davvero l’umorismo è quindi segno di una grande maturità spirituale, di quel relativismo dello Spirito che deve accompagnare l’uomo nel suo procedere non per strappi violenti, ma per tentativi ironici.

Tornano alla mente quelle scenette che da ragazzi si organizzavano durante le vacanze con il nome di “frizzi”. Il loro obiettivo non era né deridere né far calare un’ombra di cinismo sul cammino fatto insieme. Al contrario essi avevano come unico scopo quello di far percepire tutta la tenerezza del Mistero di Dio, che sa servirsi anche delle nostre contraddizioni per educarci e farci diventare grandi. Pieni di ironia, pieni di quella semplicità che è solo dono dello Spirito Santo.

Fonte: Federico PICCHETTOIlSussidiario.net

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