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Alfie: la vicenda. Sulla vita di un bambino il potere assoluto dello Stato

La nascita nel maggio di due anni fa, i primi sintomi di una malattia indecifrabile e letale, la battaglia legale tra la famiglia e l’ospedale

Portare loro figlio Alfie all’Ospedale Bambino Gesù di Roma, una delle eccellenze pediatriche a livello internazionale: Thomas Evans e Kate James hanno chiesto questo all’Alder Hey Children’s Hospital di Liverpool, dove il piccolo è ricoverato da più di un anno. Ma nonostante la disponibilità dell’ospedale italiano, ribadita con chiarezza dalla sua presidente Mariella Enoc anche sulle colonne di Avvenire, i medici inglesi hanno sempre rifiutato il trasferimento del bambino: secondo loro il massimo interesse di Alfie è morire, e per questo ritengono necessario che gli sia interrotta la ventilazione artificiale, che finora gli ha consentito di respirare. I tribunali inglesi e la Corte europea per i diritti umani hanno dichiarato legittima la loro decisione, fino all’ultima udienza, ieri.

LA COMPARSA DELLA MALATTIA
Alfie, nato sano il 9 maggio 2016, aveva due mesi quando Tom e Kate (19 e 18 anni, all’epoca) cominciarono a sospettare che qualcosa non andasse per il verso giusto. A sei mesi mostrava già un ritardo nello sviluppo, ma è stata una bronchite che, nel dicembre successivo, lo ha fatto entrare nell’ospedale da cui non è riuscito più a uscire. Le sue condizioni sono drasticamente peggiorate per via di una malattia neurodegenerativa a oggi sconosciuta, che secondo tutti i medici che lo hanno visitato lo porterà alla morte. Ma se la non-diagnosi è condivisa, non lo è il trattamento a cui il piccolo potrebbe essere sottoposto. I medici inglesi ritengono che la sua qualità di vita sia tanto scarsa da non valer più la pena continuare a sostenerla: nella prima sentenza si parla di «futilità della vita di Alfie (cioè l’assenza di ogni prospettiva di miglioramento)», in una condizione definita di stato «semi-vegetativo », e in condizioni cerebrali devastanti. È la vita stessa del bambino che sarebbe «futile», quindi, e non gli eventuali trattamenti sanitari. Il team del Bambino Gesù, che lo ha visitato in un consulto a Liverpool, ha riconosciuto la gravità della situazione ma non l’idea di staccare la spina. L’ospedale del Papa ha proposto una ventilazione e una nutrizione artificiale offerte in modo meno gravoso di quanto fatto finora: la tracheo- stomia (il tubo in gola per respirare) e la peg (per la nutrizione) anziché l’intubazione. In questo modo Alfie potrebbe essere accompagnato più agevolmente per il tempo che la sua malattia gli darà, perché gli sia consentito di morire «quando decide lui», come chiede suo padre Tom. E della stessa opinione è anche un altro esperto consultato, il dottor Haas, (Dipartimento di Cardiologia pediatrica e terapia intensiva all’Ospedale universitario Ludwig-Maximilians di Monaco di Baviera). Anche lui pensa che Alfie sia inguaribile, ma è contrario a interrompere i sostegni vitali, perché ciò lo farebbe morire subito, e «questo non può certamente essere il suo miglior interesse», che invece è vivere dignitosamente quel che resta della sua vita a casa, come chiesto dai genitori. Ma sono le brucianti conclusioni di Haas a lasciare il segno: «In Germania, per via della nostra storia, abbiamo imparato che ci sono cose che non bisogna fare con bambini fortemente handicappati. Una società deve essere pronta a prendersi cura di questi bambini molto handicappati, e non decidere che i sostegni vitali siano interrotti contro la volontà dei genitori, se non c’è certezza di cosa sentano i bambini, come in questo caso». Un commento «provocatorio e inappropriato», lo liquiderà poi il giudice Hayden che, per rispondere al pesante riferimento al nazismo ha chiamato in causa addirittura papa Francesco, citandone una lettera aperta al presidente della Pontificia Accademia per la Vita dello scorso novembre, dove il Papa ribadiva la nota posizione del magistero della Chiesa riguardo l’accanimento terapeutico. La strumentalità del tentativo di portare addirittura il Pontefice a sostegno della morte procurata del piccolo Alfie è palese ed evidenziata dai ripetuti interventi pubblici del Papa a sostegno di Alfie, e dalla reiterata disponibilità del Bambino Gesù ad accoglierlo, rifiutando di ‘staccare la spina’.

LA DISOBBEDIENZA CIVILE DEI GENITORI
Quando erano ormai stabilite data, ora e modalità per la morte di Alfie, i suoi genitori hanno compiuto un vero e proprio atto di insubordinazione: giovedì scorso sono andati a riprendersi il figlio, fisicamente, all’Alder Hey, con tanto di trolley, ambulanza privata ed équipe medica, in mano un parere legale con cui i propri avvocati dichiaravano il diritto a portare via il piccolo. Un parere legale privato, che al momento non poteva essere preso in considerazione da nessuno: ma usandolo come pretesto Tom e Kate hanno spiazzato tutti. E quando sono stati bloccati dalla polizia nel reparto di terapia intensiva dove è ricoverato Alfie hanno usato l’ultima arma a loro disposizione: il cellulare connesso in rete. Sono diventati immediatamente virali i video dei poliziotti che piantonavano la corsia e di Thomas che mostrava suo figlio nella stanza e che chiedeva di portarlo via, in un altro ospedale, perché non fosse fatto morire. Immagini e voci devastanti perché dirette, senza alcuna mediazione, che in pochi minuti hanno fatto il giro del mondo. La mobilitazione è stata impressionante. Immediatamente si è radunata una folla intorno all’ospedale, bloccando il traffico: «Rilasciate Alfie», «libertà per Alfie» gli slogan più gridati fino a notte fonda, quando Tom e Kate sono scesi a ringraziare, accolti da una sorta di abbraccio collettivo dalle centinaia di sostenitori. Ma niente di tutto questo sarebbe successo senza Chris e Connie, il papà e la mamma di Charlie Gard, il bimbo inguaribile ma non incurabile che non venne curato sperimentalmente come i suoi genitori avrebbero voluto e al quale nel luglio 2017, al culmine di una sconvolgente battaglia legale tra famiglia e medici, quando il decorso del suo male era ormai troppo avanzato, venne staccato il respiratore. Quella storia ha commosso il mondo intero, e soprattutto ha aperto uno squarcio sull’incredibile autoritarismo del sistema inglese. Il potere dello Stato sui corpi dei propri cittadini di minore età: ai genitori non viene più riconosciuto il diritto fondamentale a una positiva libertà di cura e persino quello di trasferire il proprio bambino da un ospedale a un altro, entrambi di sicura fama.

CHI DECIDE SULLA VITA E SULLA MORTE
Siamo arrivati al punto di dover ascoltare, nella terribile udienza di ieri, l’avvocato degli Evans gridare ai giudici: «Non potete controllare ogni aspetto della vita delle persone», dopo aver invocato per Alfie, invano, l’«Habeas corpus», l’antico diritto all’inviolabilità delle persone. I giudici hanno risposto che quel che conta è l’interesse supremo del bambino, e non sono i genitori a deciderlo. Chiaramente è lo Stato. Che per Alfie, come per Charlie, ha creato le condizioni perché secondo la legge il «miglior interesse» fosse quello di morire, e poi questo ha sentenziato. Evidentemente problema non è ‘chi’ decide, quanto piuttosto ‘cosa’ si decide: imponendo il distacco di sostegni vitali lo Stato britannico si arroga il diritto di decidere non soltanto sulla bontà o meno di una terapia ma sulla morte di un bambino, contro il parere di chi gli ha dato la vita.

Fonte: Assuntina MORESI | Avvenire.it

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