Una recente indagine dell’Unione Europea ha evidenziato come entro il 2020, in Italia avremo circa 135mila posti di lavoro vacanti in ambito Ict (750mila in Europa); secondo una stima In Tribe (tra le start up accolte nell’incubatore Speed Me Up dell’Università Bocconi), questo corrisponderà a circa il 18% delle posizioni lavorative in questo ambito. Fra due anni, per l’accelerazione tecnologica, il 25% delle posizioni aperte saranno delle nuove professioni, inesistenti fino a cinque anni fa, e tutte avranno a che fare con il mondo tecnologico e digitale. Esperti di intelligenza artificiale, analisti dei big data ed esperti di cyber security saranno tra le professioni emergenti.

«Le aziende ricercano sempre più profili in ambito tecnologico e digitale, che nessuno riesce ad occupare per mancanza di competenze specifiche – ha detto Mirna Pacchetti, ceo di In Tribe -. Questo significa che le persone in cerca di lavoro spesso non sono in grado di rispondere ai requisiti e alle competenze tecnologiche e digitali necessarie alle aziende. Il digital mismatch riguarda ognuno di noi»

L’impatto complessivo potrebbe essere di circa due milioni di posti vacanti entro tre anni, se non investiamo quanto prima nella formazione di noi stessi e dei nostri dipendenti. Spesso riteniamo che il concetto di nativo digitale vada di pari passo con quello di competenza digitale: in Italia non è ancora così. Basti pensare che nel 2016, tra i giovani adulti di età compresa tra i 25 e 34 anni, solo il 41% ha usato (in modo basico) un foglio elettronico contro una media europea del 50% e solo il 29% lo ha utilizzato in modo “avanzato” per organizzare e analizzare i dati (ordinamento, filtri, formule, grafici…) contro il 34% della media europea.

«Il 15% delle aziende di servizi – ha commentato Umberto Bellini, presidente di Asseprim – dichiara di aver incontrato un qualche genere di difficoltà nella realizzazione del sito web. Di queste, tre su quattro hanno faticato a reperire sul mercato risorse con competenze adeguate in termini di capacità di progettazione o di capacità di natura tecnica, confermando il mismatch tra domanda e offerta di lavoro che sempre più interessa determinate aree aziendali. Asseprim si è attivata con percorsi formativi di supporto alle aziende per colmare le competenze necessarie. A questo compito sono chiamate associazioni, aziende e istituzioni».

La rivoluzione sarà nelle professioni “contaminate” dal digitale e dalle tecnologie. «Entro dieci anni – ha proseguito Pacchetti – il 70% dei lavori evolverà in chiave tecnologica e parte delle professioni del futuro saranno evoluzioni di quelle esistenti. In agricoltura, per esempio, nei campi si installano sensori che monitorano umidità del terreno, condizioni climatiche e crescita delle piante: l’agricoltore gestisce da tablet. Nella sanità, invece, negli ospedali entrano le stampanti 3D che utilizzano le cellule staminali per creare vene e tessuti».

Inoltre saranno valorizzate nel breve periodo le lauree Stem (Scienze, Technologie, Ingegneria e Matematica) e ci sarà la necessità di creare nuovi titoli di studio. L’evoluzione, già avvenuta nel mondo anglosassone, avverrà anche in Italia nei prossimi anni (circa cinque, secondo le stime In Tribe) è vedrà l’introduzione di una A per Arti nell’acronimo (Steam). Le competenze umanistiche abbinate a quelle scientifiche sono fondamentali per creare un’interdisciplinarità basilare alla corretta applicazione del digitale e delle nuove tecnologie in qualsiasi ambito, anche quelli che fino a qualche anno fa non avevano beneficiato di alcun impatto tecnologico, ma che a adesso ne stanno capendo l’importanza.

In questa repentina e costante innovazione tutti sono chiamati al continuo aggiornamento professionale. Occorre aumentare le proprie competenze tecnologiche e verosimilmente questo accadrà per tutta la durata della vita lavorativa. Le aziende dovranno investire massivamente in formazione, quale asset strategico aziendale, l’alternativa è la perdita di competitività, a totale vantaggio di startup e imprese tecnologiche che, in questo periodo storico, acquisiscono velocemente quote di mercato innovando prodotti, servizi e processi. Smettere d’imparare significa precludersi l’opportunità di evolvere assieme al mercato e, a tendere, di restarne esclusi.

La quarta rivoluzione industriale porterà alla riqualificazione delle professionalità. Oggi la parola crisi non esiste più, esiste: nuovo mercato.

Fonte: Avvenire.it