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Luca, un papà super: «La mamma non c’è più, a te, bambino mio, dico grazie

La moglie Viviana è morta dopo quattro anni di coma. Senza di lei ha cresciuto da solo il piccolo Mattia e ha scritto un libro sulla sua esperienza.

 

Nella loro bella casa di Brignano Gera d’Adda in provincia di Bergamo, Mattia, 8 anni, e il suo papà Luca Nisoli hanno un’intera stanza dedicata ai giochi. È lì che passano ore a costruire i Lego, che sono disposti in bella mostra su un grande tavolo. Trascorrono tanto tempo insieme, papà e figlio, lui lo aiuta nei compiti, giocano molto, a basket, a calcetto; nei weekend e in estate vanno per rifugi, perché Mattia è già un gran camminatore. Sono sempre stati solo loro due: la mamma è scomparsa dalla loro vita quotidiana quando Mattia aveva solo sei mesi.

«Ricordo quella mattina quando tutto è cambiato», rievoca Luca. «Mia moglie Viviana si è sentita male, ha capito la gravità di quello che le stava accadendo e ha fatto in tempo a lasciarmi la sua ultima volontà: ha affidato il suo bambino alle cure di mia mamma, che ci era sempre stata vicino perché vive al piano di sotto nella nostra villetta. La corsa all’ospedale, l’intervento disperato e poi il coma neurovegetativo». Si era ripresentata la malattia che l’aveva colpita cinque anni prima, l’idrocefalo, quell’accumulo di liquido nel cervello che sembrava solo un ricordo lontano.

«Sapevamo che poteva risuccedere, ma ci sentivamo tranquilli. E invece tutto è precipitato. All’inizio speravo che si risvegliasse, ma poi mi hanno detto chiaramente che era una situazione irreversibile. Io nella nostra casa con il piccolo Mattia, lei in una struttura specializzata, un corpo immobile che non rispondeva agli stimoli, ma che comunque c’era. Quando ho capito ho smesso di curarla e ho cominciato a prendermene cura, sforzandomi di mantenere la dignità della sua persona. Ho pensato di portarla a casa ma Mattia era troppo piccolo, e ho voluto salvaguardarlo da quello strazio. Ma sin da quando aveva 8 mesi è andato a trovare la mamma, le portava i peluche, la accarezzava. Io dovevo dividermi tra lui e Viviana e ho cercato una mediazione non andando tutti i giorni a trovarla per avere del tempo da dedicare a lui».

Mattia intanto cresceva, passavano gli anni, quando alla scuola materna si festeggiava la festa della mamma era sempre un momento delicato. «A un certo punto mia moglie ha cominciato ad avere delle crisi neurovegetative, erano strazianti, e io volevo solo farla soffrire il meno possibile. Poi se ne è andata, e io ho dovuto dirlo a Mattia. Con parole semplici, ma vere, come ho sempre fatto».

IL PROGETTO MATTIA

Durante i quattro anni del calvario di Viviana, Luca si è reso conto di quante persone vivono la loro stessa situazione. Sono infatti 3.500 attualmente in Italia i pazienti in coma neurovegetativo, un numero destinato ad aumentare perché la terapia intensiva ha raggiunto livelli molto alti. I malati sono adeguatamente assistiti ma i familiari si trovano spesso da soli ad affrontare una simile tragedia. «Volevo fare qualcosa per gli altri e ho creato il Progetto Mattia, destinato a chi ha un familiare in quella condizione. Penso soprattutto ai bambini, non tutti hanno dei nonni vicini e presenti come Mattia».

Per raccogliere fondi ha deciso di scrivere in un libro. Grazie alla penna di Paola Turrioni, a cui a ruota libera ha raccontato la sua storia, è nato Ti dico la verità. Un uomo racconta a suo figlio come è diventato padre (Lindau).

«Non è stato facile capire come fare il padre. Ho cercato di dare a Mattia quegli abbracci che di solito dà una mamma, anche se credo che un legame tra mamma e figlio non si possa ricreare. Però con lui ho un bel rapporto, mi può dire se è triste, ed è capace di capire quando lo sono io. Mi ha aiutato a diventare un papà, spero bravo».

Il libro sta andando molto bene, si susseguono le presentazioni in oratori, scuole, università. E poi c’è il passaparola, e chi lo ha letto poi ne compra un’altra copia da regalare. Non solo hanno già recuperato i soldi per la pubblicazione, ma hanno raccolto i fondi tramite l’associazione “Uno nessuno e centomila” per sostenere due bambini. «Ora ho tanto entusiasmo, ma confesso che è stata dura. Quando Viviana è morta in me è accaduto come una rottura, è come se avessi mollato, ho sentito tutta la stanchezza di quegli anni, e mi sono chiuso. Poi due anni fa ho preso del tempo per me e ho fatto una cosa che desideravo da tempo: il cammino di Santiago, che è durato una settimana. Ed è stata l’unica volta che mi sono separato da Mattia così a lungo. Ma è stato utile, ho ritrovato la pace e la voglia di fare tesoro della mia esperienza».

Fonte: Fulvia Degl’Innocenti | FamigliaCristiana.it

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