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Ho incontrato Telemaco alla fermata dell’autobus

Qualche giorno fa ho assistito a una scena che mi ha fatto molto riflettere. Una bambina era seduta con il nonno sotto la pensilina ad aspettare l’autobus. Era da poco passata l’una, quindi aveva tra le gambe uno zaino sproporzionato per il suo esile corpicino e un volto un po’ troppo stanco e deluso dalla vita per una bambina che dovrebbe essere nel periodo più lieto e spensierato della sua vita. Alla fatidica domanda:”Cosa hai fatto oggi a scuola?”, lei ha risposto con l’altrettanto scontato “niente”, che genitori e nonni di tutte le epoche e di tutte le nazioni sentono pronunciare molto probabilmente fin dalla nascita della scuola. Allora dopo qualche minuto di silenzio il nonno, nel disperato tentativo di ‘ attaccare bottone ‘ con la bambina, che nel frattempo aveva tirato fuori dalla tasca un cellulare di ultimo modello, troppo grande per le sue piccole manine di bambina che frequenta i primi anni delle scuole elementari, le ha rivolto con sagacia una domanda più personale: “Ma dimmi un po’: ce l’ hai il fidanzatino?”.  La bambina non si è scomposta e non è nemmeno minimamente arrossita, reazione che mi sarei logicamente aspettata, ma tenendo gli occhi fissi sullo schermo di quel labirinto che stringeva tra le mani, ha risposto freddamente: “Ma figurati. E’ una cosa stupida, perché tanto poi si lasciano tutti come la mamma e il papà. Quando sarò grande sceglierò un marito ricco che mi farà un sacco di regali, non mi deve mica piacere…”.

Non ho fatto in tempo a cogliere il prosieguo di quella conversazione perché il mio autobus è arrivato, ma voltandomi un secondo prima di salire, ho notato la faccia sbalordita del nonno, che di fronte a una risposta così spiazzante ha probabilmente perso tutta la loquacità di qualche secondo prima. Lui ha capito la gravità di quelle parole apparentemente insignificanti, come solo chi ha esperienza della vita sa fare.

Guardandoci intorno vediamo un divario sempre più ampio tra la generazione dei nostri nonni e quella dei nostri genitori, per poi arrivare alla nostra, leva di futuri uomini e donne che hanno completamente perso fiducia nell’amore in tutte le sue forme più autentiche: opportunismo e convenienza sono i nuovi valori su cui si fonda la nostra società, in un mondo in cui apparire è tutto ciò che conta davvero. Una domanda sorge spontanea: quali sono le cause di questo degrado morale? Difficile identificare una causa, ma analizzando gli effetti possiamo provare a risalire ad essa. Io credo che la causa principale sia la piega negativa che ha preso la nostra società: vedo sempre più adulti ‘ infantili ‘, che non sanno cosa fare della propria vita, e bambini che vengono caricati di troppe responsabilità, pesanti come lo zaino di quella bambina. Un bambino però ha bisogno di solidi modelli di riferimento, ma soprattutto ha bisogno di essere amato, perché solo così conoscerà una corretta affettività e ne sarà portatore. Questi piccoli uomini e donne vorrebbero chiedere aiuto, ma non  ci riescono, sono circondati da adulti troppo distratti per cogliere i loro segnali. Questa è la mia ipotesi… credo fermamente che l’ Amore sia il vero segreto della felicità e dell’ equilibrio, qualcosa che ci forma interiormente come nient’altro. L’ Amore stimola la sete di vita, di una vita vera e fondata su valori autentici.

Un libro che tratta il tema dell’ “evaporazione del padre“, citando le parole dello stesso autore, e al quale ho ripensato subito dopo aver assistito alla scena che ho appena raccontato,  è “ Il complesso di Telemaco “ dello psicanalista Massimo Recalcati, di cui vi consiglio vivamente la lettura se siete interessati al tema della crisi nello scambio generazionale. Il tema è infatti affrontato dall’autore in riferimento alla classicità.

Nel libro vengono analizzate tre tipologie di figlio: Edipo, anti-Edipo, Narciso e Telemaco. Secondo Recalcati è con Telemaco che si identificano i bambini e i ragazzi di oggi: figli che attendono il ritorno di un padre perduto.
Credo proprio di aver incontrato uno dei tanti Telemaco alla fermata dell’autobus.

Matilde Ferrari

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