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Quello che ho capito della vita spirituale

Ho trascurato questo blog, negli ultimi mesi. Per una serie di motivi. Alcuni più difficili da dire e da esplorare in poche parole – un momento di confusione nel quale ogni volta che si parla partono le etichette “allora tu sei contro – oppure – allora tu sei a favore del Papa!”, e giù anatemi – altri più semplici: la vita, il lavoro, i figli che crescendo non diventano meno impegnativi, anzi (non devi più giocare a principesse ma spegnere tablet e cercare cellulari nascosti, e io rivoglio il mio vecchio lavoro: ero più simpatica quando giravo per casa cantando con un diadema di plastica in testa). Ma il motivo determinante è che ho scritto un libro e ci ho messo tutte le energie (residue).

Questa volta mi è costato un lavoro e una fatica molto maggiori delle altre. Perché per scriverlo ho riletto tutti i miei diari, oltre trenta anni di appunti spietati e puntuali sulla mia vita interiore, e, vi assicuro, non è stato un bello spettacolo vedere concretamente che disastro è stato il mio cammino, che fatica che ho fatto. Comunque sono qui, sopravvissuta, e tutto è bene quel che etc etc

Ovviamente il libro non è un diario – per me il pudore è un grande valore, non lo è la sincerità tout court: nella sostanza sì, ma i particolari non sono roba da dare in pasto a sconosciuti – ma è un distillato di tutto quello che ho capito della vita spirituale. Il tema è, appunto, mettere ordine nella vita interiore, cercare di passare dal bazar al cattedrale, dallo spontaneismo all’avere un progetto, costruendo e ordinando, capendo che il meglio delle nostre risorse intellettuali non va sprecato in quisquilie come i soldi o il lavoro. Quello che conta davvero è cercare Dio, l’unico che non ci sarà tolto.

E allora anche un laico può avere la sua regola di vita spirituale, proprio come un monaco, una regola che deve faticosamente cercare nelle pieghe della sua vita, cercando di capire come trovare spazi da chiudere, per aprirli solo a Dio, per farlo entrare nella stanza interiore e cercare di vedere il suo viso. Tanti di noi organizzano le giornate su questa ricerca, cercando faticosamente spazio alla parola di Dio, alla preghiera, alla confessione, all’eucaristia, al digiuno: i cinque sassi, insomma. O anche i cinque pilastri su cui è costruito il monastero, non solo quello interiore – ogni laico oggi è chiamato a un monachesimo interiorizzato – ma anche quello che ci unisce, in un’invisibile connessione wi fi che ci aiuta ad andare avanti, anche se abitiamo a centinaia di chilometri di distanza, e possiamo condividere la vita solo a tratti, con una preghiera ad orario concordato o uno sfogo telefonico o un messaggio affannato scritto in corsa (io preferivo gli stupidphone senza schermo touch perché potevi scrivere anche lanciandoti in corsa verso la macchina mentre adesso appena sfiori ti partono parole a caso).

Come sempre, questo libro l’ho scritto prima di tutto per me, per mettere ordine e fermare i punti, per ricordarmi qual è la parte migliore, per aiutarmi a non andare sempre dietro alle cose urgenti, alle richieste degli altri, che non hanno il diritto di dettarci l’agenda. Ma l’ho scritto anche per gli altri, perché alla fine degli incontri, quando parlando di relazioni dico che quella che ci determina è quella con il Signore, c’è sempre più di qualcuno che mi chiede come si fa ad avere questo rapporto con Colui che abita la luce inaccessibile. C’è un modo sicuro, solo che io non lo so. Intuisco giusto qualcosa, e lo desidero moltissimo. E so che questo modo passa per i cinque sassi. So che va più di moda la meditazione orientale, lo yoga, il tantra, le regole norvegesi per essere felici, il potere del riordino e le invocazioni al Grande cocomero. Io però, anche se oggi si festeggia la nascita del quarto guru Sikh Ran Das, ho deciso di fidarmi più di Teresa d’Avila, Giovanni della croce, Benedetto, e soprattutto di Gesù.

E niente, ho voluto mettere a disposizione quello che a me è servito, e che mi sembra possa servire a molti: mi sono resa conto infatti che tante informazioni che diamo per scontate, non lo sono. Mi è capitato di parlare con persone che cercano con tutto il cuore e non sanno cos’è la liturgia delle ore, o persone impegnate in grosse battaglie culturali e anche politiche combattute con lo zelo dei crociati, che però non hanno un rapporto intimo con Colui sul quale tutte queste battaglie devono essere fondate per avere senso.

Mi sembra, questo libro, anche un utile antidoto allo stato d’animo apocalittico, di chi vede segreti e rivelazioni e ultimi tempi ovunque: la battaglia è sempre interiore, tutto il resto non ci riguarda. Il nemico, il nostro problema, siamo noi, la ferita del peccato originale.

Non è però un’Opzione Benedetto, non esattamente. Io credo che noi dobbiamo comunque parlare quando ci è chiesto o ce ne è data l’occasione. Non rinunciare alla dimensione e alla presenza pubblica. Ma facendo bene attenzione a che sia profondamente fondata, radicata in un rapporto personale con Dio, senza il quale l’appartenenza a una tradizione non serve a niente. Non possiamo essere, pubblicamente, pronti a morire per il Signore, e poi in privato non avere alcun rapporto con lui.

Però, come dice il libro di Rod Dreher, vogliamo essere il popolo che resta, in un contesto culturale totalmente ostile e in una sostanziale indifferenza alla fede e alla Chiesa (per questo certe “aperture” mi lasciano perplessa: perché la gente già da tempo se ne frega altamente se la Chiesa apre o chiude, sono categorie totalmente estranee alla massa). Vogliamo restare, speriamo, come il resto di Israele. E vogliamo restare come Giovanni e Maria, sotto la croce, sperando di rimanere fedeli.

Come sempre io mi sono divertita a scrivere, anche nella fatica, mi sono ritrovata a ridere da sola mentre scrivevo, sempre, rigorosamente, di notte. Tranne quando in Croazia è comparso uno scorpione ciccionissimo vicino ai miei piedi, in quel caso non ci ho trovato niente da ridere, e ho svegliato mio marito, il quale voleva chiedere il divorzio ma la questione era troppo lunga, ha preferito ammazzare lo scorpione e tornare a letto.

Ah, dimenticavo, dopo una lunga disamina che ha escluso: Il popolo che resta, Monastero wi fi, Le cinque regole, Spiritualità for dummies, Ogni vita un monastero – il mio preferito – e Noi, felici monaci, il libro si chiama Si salvi chi vuole, manuale di imperfezione spirituale.

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