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MILANO – Date inizio al futuro

Giacomo Bertoni ha seguito domenica 24 settembre come inviato per Radio Mater l’ingresso di Mons. Delpini a Milano

Milano è spesso un passo avanti rispetto alla maggior parte delle città italiane. Non lo è solo per la moda, per l’editoria, per l’informazione, per la cultura, per le aziende. Che Milano sia italiana eppure diversa lo si capisce anche solo facendoci una passeggiata distratta, camminando fra monumentali vetrine luminose e personaggi bizzarramente agghindati. A Milano si respira quel mix tra passato iconico e futuro psichedelico che solo nelle grandi capitali europee si è già imposto pienamente. Negli ultimi decenni è forse la parte psichedelica che ha preso il sopravvento, una confusione estetica che è anche interiore, con una forte perdita della dimensione spirituale e religiosa dell’individuo.

Camminando verso piazza del duomo ieri tutte queste considerazioni si rincorrevano nella testa, portando a una inevitabile domanda: può ancora l’ingresso di un arcivescovo incidere su una domenica pomeriggio milanese? Può un pontificale di due ore catturare l’attenzione di una città sempre intenta a spostare lo sguardo un po’ più in là? Alle 15 la situazione in piazza era abbastanza mesta: poche le persone vicino alle transenne, ancora meno la curiosità dei passanti per i maxi-schermi. Qualcosa è cambiato, improvvisamente, quando la voce dell’arcivescovo si è diffusa per la piazza. La sua riflessione nella basilica di S. Eustorgio è stata una fotografia di Milano. Il ritmo lavorativo sempre più forzato e caotico, le domande di senso che non trovano risposta, le nuove dipendenze che corrodono la vita di tante persone, ma: «Noi che ascoltiamo la parola di Gesù rispondiamo che c’è una voce che chiama e fa della vita una vocazione e una missione, e ci mettiamo in cammino per essere un popolo che cerca pace e verità e ci mettiamo a cantare perché accogliamo con stupore e gratitudine la speranza che questi giorni siano solo un inizio di quella comunione perfetta e felice che chiamiamo vita eterna». La gente si ferma, ma non è solo curiosità, è sorpresa di ascoltare parole antiche eppure nuove.

Poco più tardi, l’ingresso nella cattedrale gremita (oltre 6000 fedeli e 1000 sacerdoti). I giornalisti sono tanti, troppi: la postazione davanti all’altare non contiene tutti: “Chi scrive o fa collegamenti in radio dietro la colonna”. Così ci si ritrova seduti per terra, con le gambe incrociate, a prendere appunti. L’altare è coperto dall’immensa colonna, lo sguardo è chiamato prepotentemente verso l’alto. E l’invito dell’arcivescovo arriva presto: «Solo vorrei invitarvi ad alzare lo sguardo, ad accogliere l’invito di uno dei sette angeli… “Vieni, ti mostrerò la promessa sposa, la sposa dell’Agnello” (Apc 21,9)».

Lo sguardo è chiamato oltre le brutture quotidiane, perché l’uomo è chiamato a qualcosa di più grande, perché l’uomo vale più dei suoi errori e delle sue debolezze. E così ha continuato l’arcivescovo: «Forse c’è chi pensa: è impossibile, io sono cattivo, io ho fatto del male, io non riesco, io non voglio rinunciare ai miei vizi, io merito solo castighi e condanne. Ma io ti dico che Dio continua ad amarti e ad avvolgere la tua vita della sua gloria, del suo amore misericordioso. Forse c’è chi pensa: è impossibile, io mi sono ribellato a Dio, io sono arrabbiato con Dio, io ho insultato Dio, io mi sono dimenticato di Dio. Ma io ti dico che Dio non è arrabbiato con te, Dio continua ad amarti e ad avvolgerti della sua gloria, del suo amore paziente e discreto».

Un’omelia lunga (da leggere, assolutamente) e appassionata, che ha pescato più volte nel campo semantico del futuro: sperare, costruire, camminare, sognare. Sì, anche il sogno ha trovato spazio, perché il sogno è aspirazione, il sogno è giovane eppure non ha età, il sogno è di tutti e aiuta a scoprire che c’è altro oltre al visibile. Al termine del pontificale l’abbraccio della gente al suo nuovo pastore era incontenibile. Un vociare misurato ma gioioso, nel quale si riconosceva lo splendido dialetto milanese, perfetto richiamo alla diocesi più grande del mondo. Monsignor Delpini ha guardato alla Milano che è specchio delle speranze e delle contraddizioni della società contemporanea e le ha fatto il regalo più grande: indicare la speranza, che rischia di diventare vuota retorica se lasciata sola, ma è capace di salvare l’uomo se è unita a Cristo.

Se ogni parola acquista una nuova luce, allora ogni futuro è davvero ancora tutto da scrivere: «La gloria di Dio è l’amore che si rivela e che rende possibile l’impresa inaudita, la trasfigurazione impensata, l’evento sorprendente. La gloria di Dio conduce là dove nessuno avrebbe potuto pensare di arrivare, là dove nessuna audacia di pensiero umano ha potuto spingere lo sguardo. Infatti la gloria di Dio è l’amore che rende addirittura capaci di amare!».

Fonte: BlogCostanza – Miriano

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