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Conversione. Don Patriciello: il mio incontro con l’uomo che portò l’esplosivo a Capaci

Guardo la vita come una caccia al tesoro. Un tesoro che occorre necessariamente trovare. Per farlo occorre fiuto, intelligenza, coraggio. Prima di noi miriadi di uomini lo hanno trovato, ne hanno goduto i benefici lasciandoci in eredità consigli preziosi su mappe da consultare, strade da percorrere, pericoli da evitare. Il bene e coloro che del bene si sono fatti portatori mi affascinano. Mi interessa, però, anche capire perché il male, che tanto male fa a se stessi e agli altri, riesce ad ammaliare e ingannare tanta parte di umanità. Quando posso, volentieri incontro a quei fratelli che nella trappola del male sono rimasti impigliati. Accade spesso che dopo essere venuti a conoscenza di un caso eclatante di cronaca nera, dopo esserci scandalizzati e chiesto giustizia ad alta voce, di quella persona non ne sappiamo più niente. Eppure continua a vivere.

Che ne è stato di lei? Come passa le giornate? Avrà intrapreso un cammino di ravvedimento o ha indurito per sempre il cuore? Santino Di Matteo è il padre di Giuseppe, il bambino di 13 anni, rapito dalla mafia, tenuto prigioniero per 779 giorni e infine strangolato in un casolare di San Giuseppe Jato in Sicilia. Sono passati 21 anni da quel giorno. Come vive oggi quell’uomo? Come gli appare il male fatto quando era un mafioso? È veramente pentito delle scellerate scelte fatte nel passato? La sua testimonianza può essere di aiuto alle nuove generazioni o è meglio lasciarlo nell’oblio? Queste e tante altre domande mi hanno convinto a cercarlo e incontrarlo.

Un uomo come tanti, una faccia che potresti incrociare all’aeroporto, per la strada o in chiesa. Il male di cui si è reso complice, il terrore seminato tra la gente non ne hanno alterato i tratti somatici né deformato la sua voce. Un uomo resta sempre un uomo, anche quelli che si sono insozzati le mani di sangue. Uomini pensati e amati da Dio. Sempre, da sempre, per sempre. Un Dio che, pur cacciato via, non si è arreso ma, rannicchiato alla porta del loro cuore, non ha smesso di amarli.

Il vero scandalo è questo. Ci viene difficile capire fino in fondo il cuore del Padre, eppure è proprio a questo compito che sono chiamati coloro che dicono di averlo conosciuto. Non mi interessa ricostruire quel pezzo di storia della mafia siciliana che vede Di Matteo amico e complice di Totò Riina, Giovanni Brusca e altri. Non è mia intenzione insistere sulle stragi di Capaci e via D’Amelio in cui fu coinvolto. Sono venuto per incontrare l’uomo, tentare di capire perché si lasciò fagocitare da quella vita scellerata. Voglio vedere che cosa è diventato oggi l’uomo che trasportò a Capaci una parte dell’esplosivo per l’attentato che fece piangere l’Italia.

È pericoloso, lo so, ma voglio andare oltre l’indignazione che è forte, la rabbia che mi invade e quella sete di giustizia che mai deve cedere il posto alla vendetta. Voglio scendere con lui negli abissi profondi dell’animo umano, aguzzare lo sguardo, spalancare il cuore per vedere se uno spiraglio di luce, uno spicchio di bene è rimasto nascosto tra gli anfratti. Voglio indagare il mistero devastante, doloroso, illogico, del male per toccar con mano l’ amore di Dio per le sue creature, talmente grande da non abbandonarle nemmeno quando calpestano e mortificano la loro stupenda umanità. «Santino, so che stai facendo un cammino di fede. Come è iniziato? Come è stato possibile?» chiedo. «Ho incontrato un prete, un fratello, un amico, un padre» risponde a bassa voce. Un padre? Il prete di cui parla ha almeno 20 anni in meno, ma lui lo sente padre. Un uomo cioè capace di indicargli la strada giusta, che non si lascia ammaliare dalle cose, dall’avere, dal potere. Un uomo libero che gli fa intravedere un futuro, un Oltre. Un consacrato che non ha paura di sporcarsi le mani con i fratelli caduti nella trappola dell’ inganno diabolico.

«Santino, noi italiani siamo terribilmente arrabbiati con la mafia e anche con te. Avete rovinato la vita a migliaia di persone, avete versato tanto sangue, avete spento le speranze di tanta gente. Non tutti oggi sono disposti a dimenticare, perdonare. Te la senti di chiedere perdono per il male fatto?» «Si, certo. L’ho già l’ho fatto diverse volte. Nella vita ho sbagliato tutto, chiedo perdono a tutti. Purtroppo si vive una vita sola, se potessi tornare indietro non rifarei mai le cose orribili che ho potuto fare». Abbassa lo sguardo. Santino ha fatto soffrire e ha sofferto. Il cammino di conversione intrapreso è bello e faticoso. Rivedere con gli occhi resi limpidi dalla Grazia il male fatto è lancinante ma liberante. Lasciando alla giustizia umana il compito di fare il proprio dovere riguardo ai mafiosi pentiti, vogliamo sforzarci di guardarli con gli stessi occhi con cui li guarda Gesù. Se la loro storia, il loro pentimento, il prezzo atroce che hanno pagato e fatto pagare possono aiutare i giovani a capire che le mafie sono solo male, raccontiamole. Magari sottovoce, ma facciamolo. Che niente vada perduto di tutto ciò che può aiutare i giovani a imboccare la strada giusta nella ricerca dell’ unico, vero, straordinario tesoro nascosto nel campo della vita.

Fonte: Maurizio Patriciello | Avvenire.it

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