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Che cosa succede davvero nella preadolescenza?

In un rapido giro di anni i nostri bambini affrontano importanti trasformazioni, ma attenzione a non considerarli “casi da manuale”

La preadolescenza è una fase di transizione particolare, che si svolge lungo un breve periodo di tre o quattro: va dai 10/11 ai 14 anni, da metà della quinta elementare alla fine della terza media. E’ caratterizzato da rapide e profonde trasformazioni, fisiche, psichiche e sociali, che incidono irreversibilmente e in modo globale sullo sviluppo della personalità.

Il preadolescente non è più un bambino, tuttavia non è ancora adolescente.

Si può affermare che è l’età delle “grandi trasformazioni”:

– dà addio al corpo del bambino che era, con lo sviluppo fisico e puberale;

– porta a maturazione lo sviluppo logico/formale;

– vive l’apertura o chiusura di fronte al mondo dei coetanei;

– avvia il ridimensionamento della propria identificazione e va alla ricerca della propria identità;

– ricerca una propria ricollocazione all’interno della famiglia;

– inizia a rimettere in discussione la religione dei genitori e della chiesa, con l’avvio ad una religiosità personalizzata o con il rifiuto e l’abbandono di essa.

Lo sviluppo della sua personalità avviene come un processo in cui interagiscono fattori differenti.

Vi è il rischio di cogliere il percorso della sua maturazione come una cosa sua e solo sua, senza l’implicazione dei quei fattori che sono profondamente coinvolti.

Egli cresce e matura in ambienti ben definiti e identificabili: la famiglia, la scuola e l’ambiente sociale (gruppi, amici, ecc.). Cercare di capire il suo sviluppo, il suo comportamento, le sue reazioni di fronte alla sua crescita, ai genitori, ai fratelli e sorelle, ai professori, ai compagni, senza inserire tali comportamenti e reazioni nei “suoi” ambienti, significa capire ben poco di ciò che avviene in lui.

Ogni ragazzo passa attraverso le stesse tappe e gradienti, ma ognuno le vive in modo particolare e reagisce con le proprie caratteristiche agli stimoli dei vari ambienti (famiglia, scuola, coetanei).

Vi sono processi che caratterizzano l’età preadolescenziale, ma occorre avere molta attenzione nell’usare categorie interpretative standard per ogni singolo ragazzo/a. Significa attribuirgli delle realtà oggettive, questo è vero, perché sono state studiate e approfondite e fanno parte delle conoscenze scientifiche di questa età, tuttavia i genitori e gli educatori sono in relazione con una persona concreta, non con delle categorie astratte. Voglio dire che sono di fronte a un ragazzo che reagisce con le proprie modalità e quindi con specifici comportamenti e vissuti.

Il preadolescente vive in una famiglia che ha una sua storia e che ha fatto un tragitto nelle fasi evolutive proprie del nucleo familiare.

Il suo percorso di crescita si inserisce profondamente nel tessuto relazionale di tale storia. Non è stato catapultato improvvisamente in una realtà familiare, ma ne fa parte integrante sin dal primo momento in cui i suoi genitori si sono trovati ad attenderlo. Dal quel momento ne ha costituito il tessuto relazionale ed affettivo ed è diventato un fattore agente e reagente della dinamica familiare.
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Ciò è valido sia per i preadolescenti, che hanno ancora la famiglia unita, sia per quelli il cui nucleo familiare si è interrotto con la separazione e il divorzio, e sia per quelli i cui genitori hanno costituito un altro nucleo familiare. Ognuno di questi preadolescenti, pur attraversando la stessa fase di sviluppo e gli stessi processi di trasformazione, caratteristici dell’età, ha dei vissuti personali e differenti. Se non si tiene conto di questa realtà, vi è il rischio di relazionarsi con categorie astratte e di non capire ciò che avviene all’interno del preadolescente e di non attivare una modalità relazionale consona, di predeterminare comportamenti e progetti educativi estranei o persino contrari alla situazione.

Già il preadolescente, con le sue modificazioni e con i suoi comportamenti ha un grande “pregio”, quello di interrogare gli adulti sul loro comportamento, sulla loro coerenza, sulla relazione che i due genitori hanno tra di loro, sul processo educativo. Ciò si accentuerà con l’adolescenza; nel frattempo, però, egli sembra avere questa caratteristica, che non sempre viene letta attentamente e con serenità dagli adulti. Di fronte ad un suo disadattamento scolastico, familiare e sociale, è più facile, più assolutorio per gli adulti, attribuire tale comportamento alla struttura della sua personalità o trovare somiglianze con parenti che nel passato sono stati tali, disadattati o accusare la società nel suo complesso o le strutture educative, nel particolare la scuola, cercando in esse, negli insegnanti, la causa del comportamento disadattato.

E’ un modo che gli adulti hanno per estraniarsi, non colpevolizzarsi, non rimettere in discussione i loro modi di relazionarsi, di comunicare, di voler bene, di comprendere, di rivedere le cose che contano.

E’ un tentativo di espellere fuori dalla famiglia ciò che crea ansia, tensione ed eventuali sensi di colpa.

L’interrogazione che il preadolescente fa agli adulti è quello di rimettere in discussione la relazione coniugale, i processi educativi, il valore attribuito alle cose e ai principi, la considerazione che si ha delle persone nella loro identità, il coinvolgimento affettivo, il senso di appartenenza al nucleo familiare.

Il preadolescente vive in un contesto familiare, che fin da quando è nato, lo permea e coinvolge con il suo clima psicoaffettivo, fatto di emozioni, affetti, comportamenti, atteggiamenti, che ogni membro del nucleo familiare ha nei suoi confronti, ma che anche la famiglia, come gruppo. Egli a sua volta ha un suo particolare modo di reagire, di relazionarsi e di atteggiarsi sia ai singoli e sia al gruppo.

Quando arriva alla preadolescenza è stato percorso un buon tragitto di vita, durante la quale la famiglia è passata attraverso fatti e avvenimenti, che hanno inciso sulla vita dei singoli e del gruppo, come nascite di altri figli (fratello/sorella), un fratello/sorella maggiore usciti di casa (allontanamento per l’università, matrimonio, ecc.), cambiamenti di residenza, di scuola; malattie di qualche membro; morte di parenti stretti, a cui il bambino era molto legato; cambio del lavoro del padre o della madre; eventuali licenziamenti; conflitti genitoriali, più o meno risolti, ecc.

Come membro del nucleo familiare egli è stato uno degli agenti che ha contribuito a creare con il suo modo di agire e di reagire il clima relazionale.

Il passaggio dall’infanzia a alla preadolescenza lo vive portandosi dentro e dietro di sé il bagaglio psicologico ed affettivo, che ha assimilato durante gli anni precedenti. Ha imparato a reagire, a suo modo, ai comportamenti e agli atteggiamenti degli altri membri, a riconoscere gli stati umorali degli altri, a percepire il clima familiare, positivo o negativo, sereno o elettrico.

Si è fatto l’idea, perché l’ha vissuto, circa la sua collocazione dentro il gruppo; il ruolo che gli è stato attribuito: il buono, il tranquillo, il disadattato, il disobbediente, l’impegnato, il fannullone, il figlio “cocco di mamma, di papà”. In questo suo ruolo è stato confermato più e più volte sia con le parole sia con la gestualità.

Ha imparato a trovare una sua collocazione nel contesto familiare, un suo spazio, che con la preadolescenza cercherà di modificare, reagendo con atteggiamenti che non sempre sono compresi e accettati dagli altri membri. Anzi, vi possono essere delle reazioni che creano ulteriori difficoltà a questa sua ricerca di ricollocazione nello spazio emotivo della famiglia e di ri- modificazione del suo ruolo.

Fonte: Gilberto Gobbi  | Aleteia.org

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