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L’appello di Chiara, mamma di un “Charlie” italiano: “Non staccate la spina”

Il piccolo di 9 anni, Emanuele, dipinge e comunica con i genitori

Mentre scriviamo hanno da poco staccato le macchine che tenevano in vita il piccolo Charlie Gard, non sappiamo in quanto tempo il bimbo tornerà alla casa del Padre, sappiamo però che è stato amato e non poco dai genitori e dai tanti che per lui hanno pregato, specie da quando la sua situazione è diventata un caso legale, con tutto il corollario ideologico che lo circonda. Europa sì, Europa no. Sono le leggi inglesi che hanno portato alla decisione di “staccare la spina”. La Corte Europea dei Diritti Umani si è limitata – pilatescamente – a certificare la decisione inglese, rimandando alla legislazione locale. Fosse stato italiano si sarebbe salvato? Forse. Le leggi sul fine vita che presto o tardi verranno portate in Parlamento dovranno tenere conto di questo caso. La vita e le decisioni dei genitori vengono prima, il resto è rumore di fondo. Su Avvenire c’è, in tanta tristezza, una bella testimonianza, quella di Chiara Paolini, 42 anni, insegnante, madre di Emanuele “Mele”, 9 anni e una situazione assai simile a quella di Charlie Gard. Lei stessa aveva inviato ai giudici della CEDU un video con un messaggio chiaro: «Siate umani e siate coraggiosi, lasciate vivere Charlie Gard. Non giudicate la sua vita finché non l’ha vissuta».

Al giornale dei vescovi racconta la sua vita e quella del piccolo Mele:

Un appello che scaturisce dalla storia incredibile del suo “Mele”.

Quando è nato, anche a Mele i medici non davano speranza di vita. Era tanto grave che a 4 mesi ricevette la Cresima con il rito urgente dei bambini in punto di morte. Oggi è un bambino felice di essere al mondo. Ecco perché rivolgo lo stesso appello non più ai giudici, ma ai medici inglesi: quel bambino è ancora vivo, possono ancora scegliere di non ucciderlo. I suoi familiari, con cui sono in contatto costante, hanno fatto tutto il percorso giuridico, ma la Corte Suprema sostiene che “il migliore interesse del bambino” è di essere ucciso. Sua madre e suo padre volevano portarlo negli Stati Uniti per una terapia sperimentale, avevano anche il milione di sterline donato dalla gente, ma gli è stato risposto che la terapia, risultata efficace per altre malattie mitocondriali, non è ancora stata approvata per la forma di Charlie. Insomma, non è affatto certo che funzionerebbe, dunque non vale la pena tentare, visti i danni neurologici del bambino. La cosa più inquietante è questa: Mele e Charlie non sono malati terminali, hanno una patologia progressiva e bisogno di un’assistenza molto forte. Anche mio figlio era attaccato al ventilatore per respirare e oggi non può camminare, è nutrito con un sondino naso-gastrico, è parzialmente cieco e non sente, non può piangere né ridere… apparentemente, perché dentro di sé fa tutto questo. Quella che per i medici era una condizione disperata si è poi dimostrata il terreno fertile in cui è maturata la sua straordinaria personalità: Mele “parla” con il computer usato dai malati di Sla, gioca a scacchi e mi batte, dipinge quadri, e a studenti che lo hanno invitato ha spiegato cos’è l’arte: «Un talento che viene dal cuore». Abbiamo scoperto che a scuola, come tutti i bambini, ha imparato anche le parolacce! Nessuno sa dirci ora quanto vivrà, nessuno si lancia più in previsioni sul futuro, ma la sua vita è stata rispettata così com’era. E il suo presente è bellissimo.

[…]

Qualcuno sostiene che tenerlo in vita è accanimento terapeutico.

Io parlo per la mia esperienza. Nessun genitore sopporta di veder soffrire suo figlio, in un ospedale vidi rianimare Mele 12 volte e ho detto basta, «la tredicesima non ci sarà!». Per fortuna non è mai arrivata. Per Charlie non chiederei mai cure aggressive, ma di non togliergli il supporto vitale, ossia il respiro. Non si può tenerlo intubato e sedato da otto mesi, non è umano, meglio una tracheotomia e lasciarlo andare a casa: accadono molte sorprese… Queste malattie sono sconosciute, non sappiamo se si riprenderebbe ma non possiamo escluderlo, e ucciderlo non è certo la soluzione. I bambini non accusano nessuno quando sono malati, vogliono solo stare nelle braccia dei loro genitori, godono di essere accarezzati. Mele è contento di svegliarsi la mattina con mamma e papà e i due fratelli, di andare a scuola, di vedere il mondo. Ci dice «tu sei il mio tesoro». Eppure anch’io all’inizio la pensavo come i giudici inglesi.

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