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Enrico Petrillo: “Chiara non era una donna coraggiosa, la sua forza veniva da un Altro”

La nostra intervista al marito di Chiara Corbella nel giorno del quinto anniversario della sua nascita al Cielo

Oggi è l’anniversario della morte di Chiara Corbella, nata al cielo nel 2012 all’età di 28 anni per un carcinoma alla lingua. Ho conosciuto la sua storia attraverso Tommaso, un mio amico di Milano, che un pomeriggio mi scrisse un messaggio: “Se puoi vai al funerale di questa ragazza anche per me”. Insieme a queste poche parole c’era un video di Chiara ed Enrico, il marito, che davano una testimonianza in una parrocchia romana. Così conobbi la loro storia.

Dopo il matrimonio nel 2008 Chiara rimane subito incinta ma purtroppo alla bambina viene diagnosticata, fin dalle prime ecografie, un’anencefalia. Gli sposi accolgono Maria Grazie Letizia con gioia e l’accompagnano dopo solo mezz’ora dalla sua nascita terrena, alla nascita in cielo.

Qualche mese più tardi il Signore dona a Chiara ed Enrico un altro figlio, un maschietto, Davide Giovanni, che scoprono essere privo delle gambe e affetto da gravi malformazioni incompatibili con la vita. Anche in questo caso i giovani sposi accolgono con amore il loro secondo figlio e lo accompagnano poco dopo alla nascita in cielo.

La terza gravidanza non mostra problemi, il bambino gode di ottima salute, ma purtroppo al quinto mese viene diagnosticato a Chiara un carcinoma alla lingua. Nonostante questa triste notizia la coppia non si scoraggia e difende la vita del piccolo Francesco, anche se questo comporta dei rischi per la mamma, che solo dopo il parto comincia a ricevere le cure.

Mi viene in mente tutto questo mentre sono al telefono con Enrico che ringrazio per la disponibilità. Ci siamo rincorsi un po’, o meglio, l’ho rincorso io – spero di non essere stata troppo assillante – e mentre il figlio Francesco dorme, riusciamo a parlare.

Ciao Enrico, tra le tante cose che vorrei chiederti la prima che mi piacerebbe conoscere riguarda la fede. Chiara ha vissuto un’esperienza particolare di conversione?

Chiara non ha avuto un momento di conversione, è sempre stata credente. Ma c’è un momento per tutti, credo, dove la fede cresce e devi decidere che strada vuoi far prendere alla tua vita. E lei ha confermato quello che stava vivendo. Fin da bambina, a quattro anni, andava con la madre agli incontri del Rinnovamento dello Spirito, questa è stata diciamo “l’aria che ha respirato”, il suo imprinting. Anche io ho frequentato il Rinnovamento ma appartenevo ad un’altra comunità. La bellissima e importante esperienza nel Rinnovamento le ha insegnato ad avere un relazione semplice e diretta con il Signore. Il percorso di fede è cresciuto anche grazie ai frati di Assisi, preziosi soprattutto nel momento di svolta del nostro fidanzamento, e all’inconto con don Fabio Rosini che ha arricchito ancora la nostra fede.

C’è stato un momento preciso in cui avete abbracciato la croce?

Io e Chiara abbiamo pianto tanto insieme, ma sinceramente non abbiamo mai vissuto il momento del rifiuto della croce. A noi il Signore ci ha dato la grazia di vedere la strada dritta fin dal primo momento, non avevamo decisioni da prendere ma solo accogliere la Sua volontà. Era faticoso, doloroso, ma sapevamo che lì c’era Lui. Non ci si improvvisa cristiani, la fede come la vita è un cammino, per morire felici come Chiara ci si deve incamminare. In questo percorso Dio ti manda delle cose da accogliere perché sa che te lo può chiedere, Lui vuole il tuo bene non ti da’ una croce per schiacciarti ma per farti aprire ad altro, a qualcosa che non immagini. Noi non avevamo dubbi che fosse così. Eravamo dentro ad una relazione con Dio e quindi quello che ci chiedeva sapevamo che era buono per noi, perché tante altre volte era stato così. Tutte le difficoltà servivano per fare un nuovo incontro con Lui.

È passata da poco la solennità di Pentecoste, nella sequenza finale del “Vieni, Santo Spirito” diciamo: «Dona virtù e premio, dona morte santa, dona gioia eterna». Chiara chiedeva nelle preghiere di fare una morte santa?

Certo. Era una grazia che chiedevamo nella preghiera, ci piaceva molto l’invocazione allo Spirito. La morte santa è il momento della verità, quando stai per morire sei in procinto di fare questo salto, di compiere questo passaggio, ed lì che si vede quello che c’è nel tuo cuore. Per questo da come muore una persona si vede di chi è figlio. Il centurione romano, chissà quanti ne aveva visti morire in croce, ma davanti a Gesù ha detto: “Davvero costui era Figlio di Dio”. Io nel mio piccolo ho visto Chiara, che aveva paura di molte cose, ma non di morire perché sapeva che dall’altra parte c’era il Signore ad aspettarla, per questo era felice. Magari qualcuno pensa che la morte santa significhi morire sano, ma c’è una “t” di mezzo che fa la differenza – san(t)a – una “t” a forma di croce ed è quella lettera che ti fa diventare santo.

Chiara la immaginiamo come una donna forte, coraggiosa… abbiamo visto tanti filmati, foto, letto tantissime testimonianze … ma ci piacerebbe “conoscerla” attraverso le tue parole: Chiara com’era?

Per me era bellissima. La prima cosa che mi colpiva di Chiara, e che attirava anche gli altri, era la sua eleganza. Era una principessa, aveva un portamento elegante. Una volta l’ho presentata alla mamma di un mio amico che mi ha detto: «Enri’ ‘sta principessa ndo’ l’hai trovata?». Questi erano i commenti. Oltre all’eleganza era una ragazza simpatica, socievole e allegra, una persona di compagnia che faceva sentire tutti a proprio agio. Chiara non era coraggiosa. Ad esempio, una cosa sciocca che però può rendere l’idea, a scuola non ha mai alzato la mano per andare volontaria ad un’interrogazione, lo raccontava spesso anche lei. Non era una donna coraggiosa che voleva affrontare le cose, no, era una donna di fede. Questo sì. Fede e coraggio non sono uguali. Il contrario della paura non è il coraggio ma la fede. Nella fede la forza te la dona qualcun Altro, nel coraggio sei tu che ti fai forza da solo. Lei possedeva la forza di un Altro.

Come avete fatto a restare uniti nel dolore?

Io e Chiara abbiamo camminato insieme ognuno stando al proprio posto. Chiara si preparava a morire e Dio le dava la grazia per farlo, e a me donava la grazia per stare sotto la croce. Noi piangevamo, ci disperavamo, pregavamo insieme e trovavamo sempre rifugio nel Signore. Questa è stata la nostra forza! Siamo stati sempre uniti, sempre insieme, abbiamo vissuto proprio la grazia del sacramento del matrimonio. Nel fidanzamento non è stato così, una volta sposati invece abbiamo ricevuto la grazia di Dio. Ognuno nel suo ruolo ha fatto ciò che il Signore gli chiedeva di fare. Noi sapevamo da sempre che la morte non aveva l’ultima parola, il centro della nostra fede è Gesù che risorge e quindi anche noi risorgeremo. Tutta la nostra vita era in funzione di questo. Siamo nati e non moriremo mai più.

Come vivi oggi la vostra storia?

Io oggi amo Chiara ma in modo diverso, perché fisicamente non c’è. So che quando sarò in paradiso, spero di andare in paradiso, ci riconosceremo. Molti però hanno un’idea troppo romantica della vedovanza. Quando mia moglie è morta tante persone mi dicevano: “stai tranquillo Enrico, la sentirai vicino, non ti mancherà”. Io non l’ho mai sentita vicina e mi è sempre mancata. Chi mi consola è il Signore. Prego Chiara e penso a Chiara sempre. Francesco, nostro figlio, le somiglia tanto. Non penso a lei con malinconia o nostalgia però, il tempo cambia il dolore. Poi se tu ami veramente cerchi di lasciare andare, io cerco di lasciare andare Chiara, e infatti sono contento che lei sia sempre più degli altri e un po’ meno mia.

Fonte: Silvia Lucchetti | Aleteia.org

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