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Maternità surrogata: gli equivoci logici e giuridici della Corte d’Appello di Milano

 

Accolta la richiesta di trascrizione dei certificati di nascita di due gemelli figli di una coppia omosessuale italiana, nati in California con la pratica dell’utero in affitto
Come riportato dalle principali testate nazionali la Corte d’Appello di Milano, ribaltando la decisione di primo grado, avrebbe autorizzato la trascrizione dei certificati di nascita di due gemelli nati in California tramite maternità surrogata per soddisfare il (presunto) diritto alla genitorialità di una coppia omosessuale.

La Corte d’Appello ha fondato la propria decisione su alcuni punti precisi, sempre secondo quanto riporta il Corriere: 1) non si può negare la paternità dei due uomini della coppia omosessuale in quanto i due gemelli sono nati da fecondazione di due ovuli messi a disposizione da una donatrice; 2) i due embrioni così creati sono stati impiantati nella madre surrogante che in California ha condotto la gravidanza simulando ciò che, pur rarissimamente, può avvenire in natura, cioè che la stessa donna abbia fecondati due diversi propri ovuli con seme di due differenti uomini; 3) a nulla rileva il divieto di surrogazione di maternità, sancito dal comma 6 dell’art. 12 della legge 40/2004 disciplinante le tecniche di procreazione medicalmente assistita, poiché il giudice italiano non dovrebbe verificare la compatibilità con l’ordine pubblico dell’atto di stato civile straniero, ma soltanto limitarsi a verificare se quest’ultimo contrasti o meno con le esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo.

Su tutto ciò delle obiezioni sembrano inevitabili in considerazione dei palesi equivoci logici e giuridici che affliggono il provvedimento della Corte di Milano.

In primo luogo: i due gemelli non sono fratelli dal lato paterno proprio in ragione del fatto che sono frutto di due ovuli inseminati con materiale genetico diverso di due uomini distinti, dal che deriva che la maternità sia unica, ma non invece la paternità, per cui ciascun gemello sarà figlio soltanto dell’uomo che ha messo a disposizione lo sperma per la fecondazione dell’ovulo poi effettivamente fecondato. Sarebbe, dunque, un grave errore di fatto e di diritto voler considerare ambedue i gemelli figli di entrambi gli uomini che, infatti, non possono essere considerati padri dei due minori non più di quanto un amico possa essere arbitrariamente considerato padre del figlio di un altro amico.

In secondo luogo: i due minori non possono essere considerati tra loro fratelli – almeno dal lato paterno – proprio perché non discendono dallo stesso padre biologico e non si può presumere che lo siano poiché una tale presunzione non sembra essere sufficiente a garantire, data l’intera operazione di donazione di materiale genetico e surrogazione, la certezza di status personale che, come è evidente, si ripercuote anche e soprattutto sul versante dell’ordine pubblico e della certezza del diritto.

In terzo luogo: l’argomento utilizzato dalla Corte secondo cui accade in natura che due ovuli della medesima donna possano essere fecondati dal seme di uomini diversi solleva alcune perplessità. Occorre riconoscere, come la stessa Corte riconosce del resto, che si tratta di una ipotesi molto molto rara; inoltre occorre dare la prova che così sia avvenuto; infine, qualora anche così fosse ciò dimostrerebbe comunque e a maggior ragione che la madre dei nati sarebbe unica, ma non i padri, e che ogni uomo che ha fecondato un diverso ovulo della stessa donna è padre soltanto del figlio che da quella singola fecondazione è nato e non già dell’altro.

L’appello alla natura, inoltre, appare incongruo e incompleto, in quanto se alla normatività della natura ci si vuole appellare lo si deve fare con onestà intellettuale, riconoscendo dunque che per natura due uomini non possono avere figli, che per natura non si possono avere più di un padre e di una madre, che per natura non si può spezzare il legame tra i nati e la gestante, che per natura – almeno riguardo a questo singolo caso concreto – i due gemelli hanno due madri, cioè quella genetica che ha donato gli ovuli e quella biologica che ha condotto la gravidanza (e numerosissimi sono gli studi scientifici che dimostrano i legami – anche psichici – tra feto e gestante che si instaurano durante la gravidanza).

In quarto luogo: non si comprende perché il giudice non debba verificare la compatibilità con l’ordine pubblico dell’atto di stato civile straniero. Che valore hanno i divieti se, accogliendo questo principio, diventa sufficiente commettere l’illecito amministrativo, civile o penale all’estero per poi vederlo “sanato” in Italia? Perché frodare il fisco trasferendo somme di denaro all’estero sarebbe un fatto punibile in Italia, mentre frodare la legge in merito al divieto di surrogazione di maternità diventa irrilevante?

Tuttavia, anche ammesso per assurdo che così sia, e che così sia giusto, una simile operazione, come ogni operazione di tal fatta – tanto ad opera di coppie omosessuali quanto ad opera di coppie eterosessuali – viola proprio i diritti fondamentali dell’uomo, in capo al nascituro o al nato, che dovrebbero essere invece riconosciuti e tutelati.

La maternità surrogata, specialmente ad opera di coppie omosessuali, viola il diritto alla bigenitorialità che spetta al minore, bigenitorialità che deve intendersi appunto secondo la normatività della natura, cioè non soltanto in termini quantitativi, riferendosi a due figure che svolgono il ruolo di genitori, ma anche e soprattutto in termini qualitativi, riferendosi cioè a due figure di sesso diverso che svolgono il ruolo di genitori poiché solo così può accedersi al meccanismo naturale della generazione che è cronologicamente e logicamente alla base della genitorialità.

Viene altresì violato il diritto del minore ad avere rapporti relazionali ed esistenziali con la madre urtando proprio con quanto sancito dalla Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo, adottata il 20 novembre 1959, secondo la quale «salvo circostanze eccezionali, il bambino in tenera età non deve essere separato dalla madre».

Infine, viene soprattutto violato il diritto del nato a conoscere le proprie origini biologiche, diritto quest’ultimo oramai ufficialmente riconosciuto e tutelato – almeno per i minori adottati e non si vede perché non si possa e debba estendere una simile tutela a maggior ragione per coloro che sono venuti al mondo tramite surrogazione di maternità – dalla stessa Corte Costituzionale con la sentenza 278/2013.

Sebbene sia stato del tutto ignorato dalla Corte d’Appello di Milano, bisogna altresì considerare quanto statuito dalla Corte di Cassazione con la sentenza 24001/2014 per cui da un lato «il ricorso all’utero in affitto è contrario alla legge italiana per motivi di ordine pubblico e tale limite non è stato messo in discussione dalla sentenza 162/2014 della Corte costituzionale sulla fecondazione eterologa. La l. n. 40 del 2014 esclude infatti la possibilità di ricorrere alla maternità surrogata, che consiste nel portare a termine una gravidanza su committenza», mentre dall’altro lato «l’unico modo per realizzare progetti di genitorialità priva di legami biologici con il minore è quindi quello dell’adozione», istituto quest’ultimo nemmeno astrattamente applicabile al caso di specie dato che ciascuno dei due gemelli ha un padre e una madre.

La Corte d’Appello, infine, non sembra aver posto nemmeno sufficiente attenzione sulla circostanza, non proprio secondaria e trascurabile, per cui tutta una simile operazione è la diretta prova della alterazione della funzione antropologica del diritto che viene violato nella sua stessa natura poiché violata è la natura delle relazioni umane che fin dalla generazione hanno una specifica normatività dettata dal diritto naturale che esplicita un senso dell’umano non disponibile o alterabile nemmeno in forza di decreti o sentenze, come ricorda l’esperienza di Antigone; anche la Corte d’Appello di Milano insomma è vittima di quella mancanza di senso che così gravemente oggi affligge la cultura (giuridica) contemporanea e che al senso del diritto e del giusto antepone il segno della norma e della forma.

Proprio in un tale contesto, assumono dunque rilevanza le precise osservazioni di un giurista laico del calibro di Alain Supiot che così opportunamente ha scritto: «Uno iato crescente separa l’uomo biologico, il cui corpo e i cui istinti sono rimasti immutati dall’epoca in cui cacciava i mammut, dalle sue tecniche, il cui potere è cresciuto vertiginosamente negli ultimi due secoli. Messo al servizio dei suoi istinti predatori, questo potere diviene una minaccia per l’uomo […]. La radicale separazione che la legge impone tra il legame giuridico e il legame biologico può spianare a sua volta la strada a un delirio tecnologico, consistente nel fare del ‘progetto parentale’ il fondamento esclusivo dell’identità del figlio e nel considerare il suo essere biologico come un semplice supporto materiale della realizzazione della volontà dei genitori. Stando ad alcune rivendicazioni che hanno avuto vasta eco sui media, questa volontà dovrebbe poter essere esercitata in modo sovrano, sia allo scopo di trasferire il progetto parentale da un materiale umano ad un altro fino a trovarne uno adatto a realizzarlo, sia per imporre al figlio uno stato civile mutilato della filiazione patrilineare o matrilineare e appagare così il desiderio di omogenitorialità o di clonazione a scopi riproduttivi. Più che per ridurre l’essere umano alla bestia, la tecnica viene quindi mobilitata per trattarlo alla stregua di un angelo, dotato di un corpo immateriale ed emancipato dal bisogno dell’altro sesso […]. Si perde però di vista la caratteristica della procreazione umana, ciò che la distingue tanto dalla riproduzione animale quanto dalla creazione divina: la necessità dell’uomo di nascere due volte, la prima alla vita dei sensi e la seconda alla vita del senso».
Fonte: Maternità surrogata: equivoci della sentenza | Tempi.it

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