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I santi erano persone assetate

Siccome sono convinta che Dio non funzioni come noi, ma in un modo in qualche modo contrario – secondo la logica del Vangelo il re muore in croce, il capo lava i piedi ai servi – sono certa che oggi, per la festa di tutti i santi, Dio e i suoi figli prediletti i regali li fanno a noi, che siamo i non festeggiati, i non (ancora?) santi.

Che regalo chiedo, stavolta? – mi arrovello da un po’, perché quando si tratta di chiedere regali io mi applico coscienziosamente. Voglio chiedere proprio qualcosa di preciso, a parte le solite cose, quelle che lui sa già (Dio, dona al mondo la pace, e a me delle cosce toniche).

Signore, aumenta la mia sete. La mia sete di te. La voglia di cercarti sempre. La nostalgia della tua presenza in ogni circostanza, perché non c’è niente che non abbia a che fare con te. E se uno ha sete, ma proprio una sete tremenda, il tempo e il modo di andare a bere lo trova per forza. Se uno ti cerca davvero, come uno che sta affogando cerca l’aria, il tempo per respirare lo trova. Anzi, respirare è tutto quello che fa.

Fratelli maggiori, santi che mi avete preceduto in cielo, vorrei la vostra stessa sete, e il vostro coraggio di non cercare di togliermela con altro che non sia l’acqua che disseta veramente. Vorrei che mi spiegaste come avete fatto a non stancarvi di cercare, a pregare con la vostra vita quello che io dico solo con le labbra, con le parole del salmo 62 O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco, di te ha sete l’anima mia, a te anela la mia carne, come terra deserta, arida, senz’acqua.

Quando uno prega così davvero, orienta a questo tutta la sua vita. Ogni vita senza Dio è una terra arida, senza acqua, ma la maggior parte di noi fa finta di non saperlo, e non ci pensa perché la ricerca è faticosa, ed esige anche disciplina (la preghiera all’inizio è soprattutto disciplina). Si distrae, non usa la parte migliore delle proprie risorse – creatività, intelligenza, fantasia, determinazione, impegno, concentrazione – per cercare seriamente l’unica cosa che vale. Anche io, cari fratelli più grandi, cari Giuseppe e Paolo e Pietro e Giovanni e Antonio e Francesco e Benedetto e Tommaso e Giovanni (un altro) e Piergiorgio e Filippo e Carlo e Pio e Charbel e Giovanni Paolo, e care Elisabetta, Maddalena, Agnese, Chiara, Caterina, Teresa (tutte e quattro), Bernadette e Lucia, e tutte le infinite schiere che mi si affollano alla mente, all’aurora a dir la verità dormo, non è che mi alzo spinta dal desiderio, a cercare Dio. Spesso mi organizzo la vita come pare a me, poi metto Dio come ciliegina sulla torta. Ma così non solo non sono santa, che va bene, si sapeva, ma non sono manco cristiana. Perché se non hai sacrificato il tuo tutto, il tuo Isacco, non sei cristiano.

Essere santi, cioè essere cristiani realizzati, è avere così tanta sete di Dio, è avere intravisto così tanta bellezza, che anche una cosa molto molto bella, come Isacco per Abramo – il figlio a lungo desiderato – diventa meno importante di Dio. Ma non per dovere o forza di volontà, per un principio o per dei valori; piuttosto perché si è intuita una bellezza senza la quale manca l’aria, senza la quale non si è niente.  Perché niente è più bello di quella bellezza. Essere santi è riconoscere questa sete, alzare lo sguardo alla ricerca di una fonte, e lasciarsi guardare da Dio: scoprire che alla fonte non ci arriviamo da soli, fidarci di lui che ci darà da bere dell’acqua che toglie la sete per sempre. La samaritana andava al pozzo; è vero, ci andava quando non c’era nessuno in giro, si vergognava della sua storia, dei suoi mariti, ma ci andava. Gesù la guarda, e lei si lascia salvare. Era sgangherata, era peccatrice, ma andava al pozzo.

Vi chiedo, fratelli e sorelle maggiori che oggi ci farete dei bei regali – vero che ce li farete? – di aumentare la nostra sete e di insegnarci le vie segrete che avete percorso voi per cercare quest’acqua. Di dirci come si arriva al pozzo. Di non permettere che ci accontentiamo del nostro benessere, chi ne può godere (è per questo che chi sta sulla croce cerca Dio, perché non può fare a meno di riconoscere il suo bisogno). Insegnateci dunque a benedire le nostre croci piccole o grandi, perché ci fanno vedere la verità su di noi, cioè il fatto che siamo bisognosi.

Ogni santo è stato pienamente se stesso, e pienamente somigliante a Dio: cioè ha realizzato il progetto di Dio su di lui (dice un mio amico sacerdote che uno a quaranta anni ha la faccia che si merita, e che il progetto di Dio su di noi ce l’avevamo stampato in faccia il giorno della prima comunione…). Seguire tutte le vie che hanno seguito tutti i santi non è possibile, perché ognuno è stato, appunto, pienamente se stesso, calato nel suo tempo e nella storia. Però possiamo imparare qualcosa da ognuno di loro. Leggendone le biografie o gli scritti, pregando come faceva lui o lei.

Suggerisco a chi non lo abbia fatto di scegliere, come fanno in tanti, un santo come speciale compagno di cammino per un periodo, per esempio un anno. Io a volte ho scelto i miei preferiti, a volte mi è capitato che mi siano stati affidati, ed è stata un’occasione per conoscere spiritualità di cui sapevo pochissimo (la fedeltà alla Chiesa di San Giovanni Bosco o di san Josemaria Escrivà, la notte oscura di Madre Teresa, il fuoco di Caterina). Oppure potreste mandare un messaggio a un amico e affidarlo a un santo in particolare, e chiedere che lui (o lei) faccia lo stesso. O ancora andare in uno dei siti – come questo   – che suggeriscono questo modo per intrecciare nuove amicizie celesti. Io, se c’è un posto ancora vicino a Teresa d’Avila, le volevo chiedere se me lo tiene (ormai lo sa, bevo coca light, mangio pocket coffee e pane e salame). E magari per questo anno intanto mi cerco anche un nuovo amico, che mi sa che Teresona è un po’ sold out.

Fonte: CostanzaMiriano blog

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