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Referendum, una semplificazione…complicata

Il primo slogan a sostegno della riforma costituzionale è la semplificazione: che si realizzerebbe grazie al superamento del bicameralismo paritario. E’ realmente così? E’ lecito dubitarne, soffermandosi soltanto sul confronto fra l’art. 70 della Costituzione come è adesso, e come sarà se la riforma fosse confermata dal referendum. E’ la norma che disciplina il procedimento di formazione delle leggi. E’ evidente la differenza tra la semplicità e chiarezza di essa nella sua originaria configurazione: “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”, e la farraginosità della sua nuova formulazione. Provate a leggerla tutta d’un fiato:

“La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere per le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, e soltanto per le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche, i referendum popolari, le altre forme di consultazione di cui all’articolo 71, per le leggi che determinano l’ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane e le disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni, per la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea, per quella che determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di senatore di cui all’articolo 65, primo comma, e per le leggi di cui agli articoli 57, sesto comma, 80, secondo periodo, 114, terzo comma, 116, terzo comma, 117, quinto e nono comma, 119, sesto comma, 120, secondo comma, 122, primo comma, e 132, secondo comma. Le stesse leggi, ciascuna con oggetto proprio, possono essere abrogate, modificate o derogate solo in forma espressa e da leggi approvate a norma del presente comma.

Le altre leggi sono approvate dalla Camera dei deputati. Ogni disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati è immediatamente trasmesso al Senato della Repubblica che, entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, può disporre di esaminarlo. Nei trenta giorni successivi il Senato della Repubblica può deliberare proposte di modificazione del testo, sulle quali la Camera dei deputati si pronuncia in via definitiva. Qualora il Senato della Repubblica non disponga di procedere all’esame o sia inutilmente decorso il termine per deliberare, ovvero quando la Camera dei deputati si sia pronunciata in via definitiva, la legge può essere promulgata.

L’esame del Senato della Repubblica per le leggi che danno attuazione all’articolo 117, quarto comma, è disposto nel termine di dieci giorni dalla data di trasmissione. Per i medesimi disegni di legge, la Camera dei deputati può non conformarsi alle modificazioni proposte dal Senato della Repubblica a maggioranza assoluta dei suoi componenti, solo pronunciandosi nella votazione finale a maggioranza assoluta dei propri componenti. I disegni di legge di cui all’articolo 81, quarto comma, approvati dalla Camera dei deputati, sono esaminati dal Senato della Repubblica, che può deliberare proposte di modificazione entro quindici giorni dalla data della trasmissione. I Presidenti delle Camere decidono, d’intesa tra loro, le eventuali questioni di competenza, sollevate secondo le norme dei rispettivi regolamenti. Il Senato della Repubblica può, secondo quanto previsto dal proprio regolamento, svolgere attività conoscitive, nonché formulare osservazioni su atti o documenti all’esame della Camera dei deputati”.

L’ho riprodotta per intero non per torturare il lettore, ma perché dalla sua scelta dipenderà anche la trasformazione del sintetico e inequivocabile testo finora in vigore e questa sorta di “romanzo costituzionale”. Nel merito, come altri su questo quotidiano hanno già sottolineato, è sufficiente ricordare che il nuovo articolo 70, lungi dal sottrarre al Senato tutte le competenze che aveva, gliene lascia tantissime, alcune delle quali assai importanti: il bicameralismo non scompare, viene solo reso più complicato. Con una formulazione così infelice la riforma lascia alla competenza di entrambe le Camere la funzione legislativa sulle leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali – e fin qui è ovvio – e poi attribuisce ulteriori ambiti di intervento, fra cui il recepimento delle disposizioni europee.

Come rileva Giulio Tremonti in un’intervista al “Corriere della Sera del 24 settembre scorso: “La riforma disegna un Senato regionale che sarà chiamato, insieme alla Camera, a decidere delle leggi e i trattati europei. Una camera provinciale che sarà chiamata sull’Europa. Mi dice dove sta la semplificazione?”. Per di più, il Senato, con richiesta di un terzo dei suoi componenti, può “disporre” di esaminare anche le leggi emanate dalla sola Camera, la quale ha l’obbligo di trasmettere immediatamente al Senato entro il termine di dieci giorni dalla sua approvazione. E una volta esaminato il testo, il Senato può disporre delle modifiche e rimandarlo alla Camera, la quale può accettarle oppure no. Insomma, non si vede dove sia il risparmio di tempo.

Infine, il penultimo comma del nuovo articolo 70 stabilisce che le eventuali questioni di competenza tra le due Camere, sollevate secondo le norme dei rispettivi regolamenti, sono decise d’intesa tra i presidenti di esse Camere, ma non dice cosa succede qualora i presidenti non raggiungano un’intesa, aprendo la strada ad un contenzioso di rilevanza costituzionale dai contorni e dagli effetti non ben definiti.

Fonte: *Centro Studi Livatino

 

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