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Come fare l’esame di coscienza

Alcuni hanno un approccio legalistico – che talvolta sfocia nell’ansia patologica – altri ne hanno svuotato ogni aspetto spirituale. Ecco come trovare un equilibrio in questa sana pratica

Negli ultimi anni, alcuni hanno notato una crisi diffusa nella Chiesa relativamente alla pratica dell’esame di coscienza. Da un lato, per molti è diventato un esame legalistico, fatto esclusivamente nel contesto della confessione e che può provocare effetti collaterali come scrupolosità, depressione e scoraggiamento – in alcuni casi perfino ansia patologica. Dall’altro lato, come reazione, alcuni sono passati a una psicologia più secolarizzata, del tutto svuotata dell’aspetto spirituale. Esercizi di auto-osservazione volti a raggiungere l’“igiene mentale” (in cui fondamentalmente ciò che conta è che io stia bene con me stesso) hanno sostituito le pratiche più tradizionali e olistiche.

Qual è il problema? Molto semplice: in ciascuno degli errori elencati, l’esame di coscienza si concentra su di me, quando invece, propriamente compreso, dovrebbe riguardare Dio e me.

In primo luogo, vorrei presentare qualche idea per aiutare a comprendere il giusto contesto teologico e spirituale dell’esame di coscienza. Vorrei preparare adeguatamente il palco prima di far mettere al lavoro gli attori!

Riporta indietro la memoria!

Nella nostra epoca, la memoria passa quasi inosservata. C’è un’app anche per quello, no? La memoria è stata ridotta a un immagazzinamento di dati. È come un pezzo extra da attaccare alla scheda madre. È utile ma non influisce sulla nostra vita quotidiana (il nostro sistema operativo). La prima cosa che dobbiamo fare, quindi, è tenere a mente il fatto che quando ricordo un evento della mia vita non sto solo richiamando informazioni; in qualche modo, sto rivivendo il passato.

La parola “memoria” deriva dal verbo latino rememor. “Re” esprime una forza intensiva, mentre “memor” si riferisce alla mente o al cuore. Possiamo dire, quindi, che ricordare è reinserire qualcosa nel cuore. Evidentemente, il nostro modello qui è Maria, che “serbava tutte queste cose nel suo cuore” (Lc 2, 51).

Date un’occhiata a questo video. Una giovane moglie, che lotta per salvare il suo matrimonio, porta il marito nei luoghi in cui si sono innamorati, come per richiamare il Libro dell’Apocalisse, “Hai abbandonato il tuo amore di prima” (Ap 2, 4). E cosa c’è scritto dopo? “Ricorda dunque da dove sei caduto”.

Morte al moralismo

La domanda successiva è “Cosa ricordiamo?” Molti ritengono l’esame di coscienza uno strumento che ci aiuta a richiamare (ovvero a ricordare) i nostri peccati e le nostre mancanze in un periodo di riflessione silenziosa prima di accostarci al sacerdote nella confessione. È vero. L’esame di coscienza è questo, ma se è solo questo ci stiamo preparando a qualche seria battuta d’arresto spirituale.

Benedetto XVI lo ha spiegato perfettamente dicendo:

“All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” (Deus Caritas Est, 1).

Il moralismo c’è quando si agisce a causa di una regola, non di qualcuno. È etica con l’Alzheimer; l’anziano compra fiori, ma solo perché è una sua abitudine… ha dimenticato il volto della persona amata. Chi vuole aprire la Bibbia a Esodo 20 (i Dieci Comandamenti) saltando tutte le cose buone accadute nei 19 capitoli precedenti (Dio che libera il suo popolo dalla schiavitù)?

Lunga vita alla storia d’amore!

Il cuore della nostra fede è il nostro rapporto con Dio. I rapporti dipendono dagli incontri. Facendo una deduzione alla Sherlock Holmes, possiamo concludere che ciò che dobbiamo ricordare al di sopra di tutto sono gli incontri, più specificatamente i nostri incontri con Dio.

 

Cos’è la Bibbia se non una serie di incontri tra Dio e l’uomo? Direi che la nostra fede è fondamentalmente la memoria dell’attività di Dio. L’Esodo è zeppo di incontri straordinari! Il suo popolo eletto è ferito, e Dio interviene e salva la donzella (Israele) in difficoltà. Ecco cosa si legge in Esodo 15:

“Voglio cantare in onore del Signore… I carri del faraone e il suo esercito ha gettato nel mare… Guidasti con il tuo favore questo popolo che hai riscattato”.

Solo dopo aver provato in modo inequivocabile il suo amore misericordioso per il suo popolo, Dio gli rivela la legge che lo porterà a un rapporto più autentico con Lui. Ciò vuol dire che ogni esame di coscienza dovrebbe iniziare con un canto gioioso che richiama i grandi gesti dell’amore misericordioso di Dio nella nostra storia, siano essi avvenuti anni fa o stamattina a colazione.

È il momento di ristrutturare le fondamenta

Ne siamo consapevoli o meno, la nostra vita quotidiana è fortemente influenzata da ciò che ricordiamo. Facciamo un esempio: le cose a casa non vanno troppo bene, e mentre stiamo facendo qualche commissione riceviamo un messaggio che ci manda davvero in bestia. Furiosi, torniamo a casa, ma nel percorso ci troviamo imbottigliati nel traffico. Rimaniamo fermi per 25 minuti. “Proprio quello di cui avevo bisogno!”, diciamo.

In un momento di difficoltà o di sofferenza, è estremamente difficile riconoscere qualcosa di positivo, men che meno la presenza di Dio, ma nel prosieguo della giornata, mentre stiamo facendo il nostro esame di coscienza, capiamo di avere due possibilità: 1) possiamo rimanere attaccati a quella sensazione di frustrazione e impazienza per aver dovuto sopportare non una ma due prove oggi, o 2) possiamo chiederci se forse Dio ci stava accompagnando durante la giornata, e infatti l’ingorgo è stato un modo per darci il tempo di sbollire prima di fare più danni che altro a casa.

La presenza di Dio porta sempre vita. Scoprendolo, anche le situazioni che sembrano offrire solo oscurità e dolore iniziano ad assumere una nuova luce e un nuovo significato: sono in un certo senso trasfigurate e risorte dalla sua presenza.

Dobbiamo comunque diffidare del pensiero positivo semplicistico o dell’ottimismo forzato/falso. La questione non è “C’è qualcosa di positivo che posso trarre da questo?”, quanto piuttosto “Dio, come eri presente?” Dobbiamo aprirci al fatto che molte volte Dio è davvero presente e agisce nella nostra vita anche nelle circostanze peggiori. Queste ferite possono rimanere, ma quando vengono offerte con fiducia e obbedienza diventano ferite di gloria che manifestano la salvezza amorevole di Dio nella nostra vita.

Due pratiche fondamentali che ci insegnano e ci permettono di raggiungere questa “ristrutturazione” sono la meditazione delle Sacre Scritture e la partecipazione attiva alla liturgia.

 

Sacra Scrittura: la memoria cristiana

Avete mai sentito la spinta spontanea a saperne di più della vostra famiglia? Forse da qualche parte c’è un santo? O forse i vostri trisavoli erano emigrati eroici, o soldati coraggiosi, o anche fragili peccatori… Pochi cristiani hanno davvero fatto tesoro nel proprio cuore delle memorie del Popolo di Dio. La meditazione quotidiana delle Scritture è fondamentale! L’Antico Testamento ci insegna le vittorie e le sconfitte (più le sconfitte che le vittorie, in realtà) del Popolo di Israele e mostra come Dio non lo abbia mai abbandonato, come il suo amore misericordioso si sia chinato su di lui e lo abbia abbracciato sempre.

Anche il Nuovo Testamento è pieno di dettagli dell’amore misericordioso di Dio che diventa carne e muore perché l’uomo possa vivere in Lui. Ricordare questi incontri, riviverli ogni giorno sostituisce le nostre deboli basi (i ricordi senza Dio) con quelle cristiane (i ricordi pieni di Dio). Ciò non vuol dire che non avremo più ricordi dolorosi, ma che non viviamo più solo con questi, anche se a volte finiamo per avere ricordi atei, ricordando tempi e luoghi in cui abbiamo negato l’esistenza di Dio.

Liturgia: il luogo di incontro tra la memoria di Dio e la memoria dell’uomo

Come vedremo in modo più dettagliato, tutto questo è volto a imparare a ricordare come ricorda Dio, a imparare a guardare la Storia – e alla fin fine la nostra storia personale – con gli occhi di Dio. Le Sacre Scritture ci introducono in questa scuola, e nella liturgia la viviamo in modo molto speciale.

Come abbiamo detto in precedenza, ricordare è rivivere, e questo raggiunge la sua massima realizzazione nella liturgia.

Rispondendo all’invito di Cristo “Fate questo in memoria di me”, stiamo ricordando il mistero pasquale (la passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo) nel senso più profondo del termine, ovvero lo stiamo rivivendo.

Grazie allo Spirito Santo, la memoria diventa vera partecipazione; la memoria del nostro incontro con Dio diventa un vero incontro in un modo del tutto nuovo.

È qui che la memoria di Cristo – di quello che è, di quello che ha fatto per noi e di come ci vede – trasforma la nostra memoria (come vediamo il nostro passato) e rimodella la nostra mentalità in generale. Trasforma il modo in cui viviamo, la nostra attività morale e il modo in cui giudichiamo la nostra vita.

È il momento della storia!

Mi piace l’idea di raccontare storie perché penso che l’esame di coscienza debba essere un momento in cui ci mettiamo alla presenza di Dio e gli raccontiamo la storia della nostra giornata, riferendogli sia i momenti belli che quelli oscuri.

Ma non è un momento che si deve limitare a un monologo! Prima si racconta la propria storia, poi si permette a Dio di raccontarla di nuovo dal suo punto di vista. Genesi 45, 4-5 ne rappresenta uno splendido esempio. Giuseppe, dopo aver affrontato prove lunghe e dolorose, scoppia in lacrime davanti ai suoi fratelli che lo hanno tradito:

Avvicinatevi a me! (…) Sono Giuseppe, il vostro fratello, che voi avete venduto per l’Egitto

Questo è il nostro racconto della storia, le vicende reali, ma riferite solo dal suo punto di vista. Non c’è bisogno di addolcire i fatti. Giuseppe è stato tradito nel peggiore dei modi e venduto come schiavo. La sua vita era potenzialmente rovinata, e tutto perché i suoi fratelli erano gelosi di lui.

Essendo un sant’uomo di fede, però, Giuseppe non si ferma lì, va oltre. Permette

alla visione delle cose di Dio di trasfigurare la propria visione della sua storia e di trasformarla in una storia di salvezza, sia per sé che per gli altri:

Ma ora non vi rattristate e non vi crucciate per avermi venduto quaggiù, perché Dio mi ha mandato qui prima di voi per conservarvi in vita… Dio mi ha mandato qui prima di voi, per assicurare a voi la sopravvivenza nel paese.. Dunque non siete stati voi a mandarmi qui, ma Dio.

Questa è la gioia di un esame di coscienza compiuto correttamente: raccontiamo la nostra storia – spesso piena di difficoltà e fragilità – dal nostro punto di vista, ma poi ascoltiamo Dio e gli permettiamo di rivelare la sua presenza, la sua provvidenza, la sua azione nella nostra vita, che tiene conto delle nostre fragilità e riesce comunque a fare meraviglie; e nel fare questo, la nostra memoria viene trasformata quotidianamente dalla sua grazia in memoria di salvezza.

Si potrebbe dire molto di più (e meglio), ma spero che le idee espresse vi aiutino a situare questa pratica in un contesto autenticamente cristiano. Quella che segue è una spiegazione più pratica, step-by-step, per aiutarvi a iniziare la pratica dell’esame di coscienza:

1. Aprirsi alla Presenza di Dio

Suggerimento pratico: trovate un angolo tranquillo a casa o in una cappella. L’ideale è avere di fronte un’immagine sacra. Accendete una candela. Prendetevi qualche istante per respirare e rilassarvi. Iniziate facendo il segno della croce.

Ogni volta che un bambino gioca, guarda se la madre o il padre lo sta osservando. Nel suo sguardo trova sicurezza, coraggio, gioia… in breve, trova amore. Il primo momento del nostro esame di coscienza serve a rivolgere lo sguardo del nostro cuore al Signore e a riscoprire il suo amore per noi. Potrebbe essere utile anche leggere un breve passo della Sacra Scrittura.

2. Far tirar fuori a Dio l’album delle fotografie

Siete mai stati vicini a un nonno mentre vi mostrava l’album delle foto dei suoi nipotini? Ricordate tutto il calore, l’affetto e l’intimità che trasudava? È ora di permettere a Dio di fare lo stesso. Prima di rivedere la nostra giornata, l’idea è ricordare chi siamo dal punto di vista di Dio: figli amati.

Cercate di ricordare qualche passo della Scrittura (l’album delle fotografie di Dio). Permettetegli di raccontarvi come ha riscattato Israele, come ha tirato fuori dai guai Giuseppe, come ha perdonato Davide. Ricordate, la liturgia e la Sacra Scrittura sono le due fonti nelle quali la nostra memoria viene rinnovata e trasformata nella memoria di Dio. Ricordate la pazienza e la fedeltà che Dio ha mostrato nei confronti del popolo di Israele. Ricordate quanto spesso la fragilità umana sembrava dover avere l’ultima parola fin quando Dio non ha trovato un modo per mostrare che egli è il Signore della storia e anche della nostra storia. Ricordate tutte le persone che Gesù ha amato, tutti i cuori che ha toccato, tutte le ferite che ha guarito… ricordate che ora siete alla presenza dello stesso Gesù. Pensate a come potrebbe parlare di queste persone, e poi ricordate che pensa lo stesso di voi.

3. Parlare con Gesù della propria giornata

Tenendo tutto questo a mente, rivedete la vostra giornata, ma fatelo dialogando con Gesù. Analizzate i punti principali: cosa vi ha colpito, cos’è stato bello, cosa è stato difficile, cosa non è stato chiaro, ecc. Non c’è bisogno di essere rigidi. Date alla vostra memoria un po’ di spazio e di tempo e permettete alle cose di fluire dolcemente.

Quando avete finito fate una pausa e restate in silenzio. Vogliamo ascoltare da vicino il nostro cuore. Ricordate che è un dialogo, non un monologo. Prima di scendere nello specifico, cercate di meditare su dove pensate che il Signore vi potrebbe portare con quello che state sperimentando con i vostri atteggiamenti, le vostre azioni, i vostri incontri, i vostri pensieri, le vostre prove, le vostre vittorie, ecc.

– Signore, dove mi chiami ad essere? Signore, chi vedi quando mi guardi?

– Signore, come stai operando nella mia vita? Dove sei?

– Signore, in che modo mi sto avvicinando a te? In che modo mi sto allontanando da te? Quanto metto gli altri al centro della mia vita?

– Sto cooperando con te? Sto percependo e ascoltando la tua voce?

4. Ammettere le proprie colpe

Ringraziate Dio profondamente per il modo in cui sta operando nella vostra vita, perché non getta mai la spugna. Nel fare questo, è naturale riconoscere anche che ci sono stati casi in cui non siete stati un figlio o una figlia fedele. Avete inciampato sul cammino. Avete negato la vostra identità. Avete rifiutato lo sguardo di verità di Dio su di voi e sugli altri e avete imposto la vostra visione.

È importante cercare di riconoscere sia quello che avete fatto che alcune possibili cause. Cosa vi ha portato ad agire come avete fatto? Come potete evitarlo o migliorare la prossima volta?

Questa parte può essere dura, ma confidate nel fatto che la misericordia e la libertà sono a portata di mano. Quando riconoscete le vostre mancanze, non tergiversate. Ammettete di essere stati voi, che siete responsabili di quelle azioni. Ricordate, senza responsabilità non ci può essere riconciliazione.

A volte possiamo essere bravissimi a giustificare o ad addolcire i nostri peccati. Gesù è misericordioso e amorevole, ma è anche la Verità. A volte analizzare una lista di possibili peccati può farci guardare alle cose in modo più obiettivo.

5. Rinnovare il proprio Battesimo: passare dalla morte alla vita

Molte volte, dopo aver riconosciuto una mancanza o un peccato, c’è la tentazione di pensare “Ok, come posso risolvere questa cosa?”, ma il peccato non è una cosa da risolvere – e sicuramente non solo con le nostre forze. Il peccato dev’essere perdonato. Il peccato, inoltre, provoca delle ferite, che devono essere curate e guarite, altrimenti suppurano.

Per questo, arrivando alla fine del vostro esame di coscienza, è il momento di immergere i vostri peccati nel fiume Giordano. Veniamo battezzati solo una volta, ma spesso dimentichiamo di rinnovare la nostra consapevolezza di essere battezzati. Troppo spesso dimentichiamo che “il Battesimo è il primo e principale sacramento per il perdono dei peccati: ci unisce a Cristo morto e risorto e ci dona lo Spirito Santo” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 985).

Metteteli allora sull’altare e permettete allo Spirito Santo di trasformare queste realtà di morte in realtà di vita. Il pentimento autentico permette allo Spirito Santo di agire: la disobbedienza a Dio diventa ora un atto di pentimento, di obbedienza. Nasce qualcosa di nuovo, qualcosa di buono, qualcosa di bello: lo spirito di figliolanza getta radici nel vostro cuore!

La parabola del figliol prodigo è un’illustrazione stupenda di tutto questo: una volta svilito e ridotto a nutrire i maiali, torna pentito tra le braccia misericordiose del padre, e gli vengono restituiti gli abiti che appartengono alla sua condizione di figlio.

Tenete a mente che questo atto quotidiano di pentimento dovrebbe andare di pari passo con la confessione mensile. Definito dai Santi Padri “un tipo laborioso di Battesimo”, il sacramento della confessione è necessario per la salvezza di coloro che sono caduti dopo il Battesimo. Se siete consapevoli di aver commesso un peccato mortale, allora dovreste accostarvi alla confessione il prima possibile (e astenervi dal ricevere la Comunione). Se non siete sicuri della differenza tra peccato mortale e peccati veniali, potete consultare la spiegazione contenuta nel Catechismo.

6. Progettare un piano d’azione

Nello sport, un buon allenatore si prenderà sempre del tempo per analizzare con il suo staff la partita della settimana precedente. Nella vita spirituale possiamo seguire un piano d’azione simile.

Dopo aver analizzato la vostra giornata, prenditevi un momento per pensare a come poter migliorare domani. Non bisogna essere ingenui, non si passa dal livello amatoriale al Superbowl da un giorno all’altro. Cercate un modo semplice per crescere nel campo in cui pensate che Cristo vi chiami a crescere.

Tenetelo a mente e cercate di ricordarlo quando vi svegliate il giorno dopo. Potete anche scriverlo, annotando una frase o un passo della Scrittura che vi è sembrato particolarmente ispiratore, o anche solo una parola. Buona parte della giornata dipende dai primi momenti.

7. Ringraziare

Ricordiamo infine che l’esame di coscienza non è un esercizio scrupoloso che consiste nel guardare con una lente di ingrandimento tutto ciò che c’è di negativo nella nostra vita e sentirci male al riguardo. Dovrebbe essere un’esperienza gioiosa di redenzione. Prendetevi un momento per gioire e rendere grazie a Dio.

Come dice padre Rupnik,

“In esso impariamo un giusto realismo che strappa le nostre illusioni di perfezione morale, disciplinare o psicologica, perché sperimentiamo la grazia di una trasformazione in atto per via della morte e resurrezione di Cristo. Un esame di coscienza svolto in questo modo porta a quello che era tanto caro al cuore di Dostoevskij: sentirsi liberi in relazione a Dio, vivere in libertà come suoi figli. Solo i figli liberi possono presentare e testimoniare la vera immagine del padre”.

Molte delle intuizioni e alcune frasi sono state tratte da un libro scritto da padre Rupnik che raccomando caldamente: Human Frailty, Divine Redemption.

Fonte: Aleteia.org

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