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Le “donne generose” che prestano l’utero? Ma i bambini non sono cose da regalare

A seguito al polverone suscitato dal coraggioso appello delle femministe rosse di “Se non ora quando – Libere”, fortemente contrario alla maternità surrogata, la posizione mediatica che è maggiormente emersa è stata sostenere tale indignazione ma, contemporaneamente, approvare la cosiddetta gestazione per altri, definendo cioè come «atto di libertà» la scelta di una “donna generosa” di partorire un bambino per regalarlo -senza passaggio di denaro- ad una coppia di amici gay (o etero).

Un esempio è quello del laico Corrado Augias (già contrario al matrimonio tra persone dello stesso sesso), che dopo aver criticato l’utero in affitto ha commentato: «Diverso il caso quando l’utero viene ‘affittato’ come gesto d’amore; tale fu il caso di due sorelle, di cui si lesse tempo fa, in cui una delle due, sterile, chiese all’altra di farle nascere un figlio. L’amore, ecco una parola che segna, ancora una volta, il discrimine».

Un altro caso paradigmatico è quello dell’on. Ivan Scalfarotto, punta di diamante dell’associazionismo Lgbt, che ha così commentato la dura condanna odierna del Parlamento Europeo della maternità surrogata: «Brava l’Europa che condanna l’utero in affitto nei Paesi poveri, ma leggo di donne che lo fanno per le sorelle, che portano avanti la gravidanza per amicizia, affetto. Che lo fanno per libera scelta». Emanuele Trevi parla di «contratto fra esseri umani liberi e consapevoli», da una parte la madre generosa e dall’altra la coppia gay di amici di famiglia.

Le sorelle che si regalano i bambini per amicizia e solidarietà. Nessuno si accorge che i bambini non possono essere trattati come “pacchetti regalo”? Oltre al fatto che queste fantomatiche “donne generose” ricevono comunque una ricompensa economica, come ha ammesso una di loro rivelando di aver guadagnato 22mila dollari (guarda caso lavora in un call center, dove gli stipendi non sono faraonici). Ma il problema vero è il “regalo di neonati” operato dalle mamme generose occidentali, pratica altrettanto indegna quanto l’affitto degli uteri delle povere donne indiane.

Un figlio strappato dal grembo materno in cui è nato e cresciuto per nove mesi, durante cui ha sviluppato una relazione fortissima con la madre che la medicina definisce “vita prenatale” o “bonding“. Gli studi scientifici hanno dimostrato che il legame madre-feto è talmente intenso e continuo che arriva ad influenzare la vita del bambino anche dopo la nascita. Come ha spiegato Anna Della Vedova, psicologa dell’Università di Brescia, «i vissuti relativi alle esperienze intrauterine e all’investimento emotivo delle stesse si pongono come la base più antica e profonda nella formazione del sé». Da considerare non c’è dunque soltanto la schiavitù della donna, perché la maternità surrogata comporta anche una violentissima ingiustizia verso i bambini, trattati come oggetti, sradicati dal corpo materno nel quale si sono formati e con il quale hanno strutturato un intimo rapporto d’affetto, il più intimo della loro vita.

Lo hanno ricordato anche le stesse femministe di “Se non ora quando”: «il percorso di vita che una donna e il suo futuro bambino compiono insieme è un’avventura umana straordinaria. I bambini non sono cose da vendere o da “donare”». Parole simili a quelle della filosofa californiana Rivka Weinberg: «Non si può trattare una persona come una cosa, anche se la si scambia gratis». Chiarissimo il pensiero di Ritanna Armeni: «Nessuna donna accetterebbe di fare un figlio per altri come donazione gratuita: per nove mesi se l’è cresciuto dentro, con lui ha instaurato la più stretta relazione che si possa avere con un altro essere umano. La maternità però non è semplicemente un utero che si noleggia, non compri un organo ma una relazione! Ci parlano tanto di quanto è importante fin dal primo momento il rapporto madre e figlio, poi quando fa comodo ignoriamo tutto?». Per finire con l’ex ministro della Sanità, Livia Turco: « Da quando in qua esiste il diritto a un figlio? Avere un figlio non significa fabbricare qualcosa». Bisogna imparare «quanto di umanamente straordinario c’è nella relazione tra una madre e il figlio che mette al mondo. Portare in grembo un figlio per cederlo ad altri su commissione è una forma di arretramento spaventoso. E questo va detto chiaramente ai giovani, ingannati dai media e superficiali, che non immaginano a cosa ci porterà questa logica individualista se non ci fermiamo in tempo».

La più bella intervista sul tema è quella alla filosofa Elisa Grimi, docente presso l’Université de Neuchâtel e direttrice della rivista Philosophical News. Andrebbe letta integralmente, riportiamo solo un passaggio: «una gravidanza richiede tempo, e in quel tempo la vita si forma nella vita, in un tutt’uno, infinitamente misterioso, un tempo carico di attesa. Pertanto il presente non può essere salvato da una iniziativa umana, ma dal riconoscere a chi appartiene la vita. E il figlio ha una sola madre».

Il fenomeno della maternità surrogata, dunque, è un crimine sia quando c’è di mezzo lo sfruttamento delle donne e l’acquisto economico del loro utero, pratica che fortunatamente nessuno più difende, sia -sopratutto- quando a essere ingravidata (gestazione per altri, gpa) è una donna che per libera scelta decide di sfornare un bambino e regalarlo, in un moto di generosità, ai bisognosi, così come farebbe per un pacco natalizio. La più famosa femminista europea, Sylviane Agacinski, lo ha ben ricordato annunciando un convengo nel Parlamento francese per l’abolizione universale dell’utero in affitto: «i bambini sono persone, non si tratta di cose» da regalare con generosità a chi non ne ha.

 

Fonte: Uccronline.it

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