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Il Parlamento Ue boccia l’utero in affitto

Stop agli “uteri in affitto”, che riducono la donna, il suo grembo e i bambini a una merce, con lo sfruttamento soprattutto delle donne vulnerabili nei Paesi in via di sviluppo. Questo importante messaggio è emerso questa mattina in assemblea plenaria al Parlamento europeo, all’interno del Rapporto annuale sui diritti umani e la democrazia nel mondo – riferito al 2014 – e la politica dell’Unione Europea in materia, preparato dal popolare rumeno Cristian Dan Preda.

I vertici del gruppo socialista avevano chiesto di votare contro l’emendamento, ma il gruppo si è poi spaccato e buona parte degli italiani del Pd hanno votato a favore, consentendo a popolari e conservatori di raggiungere il risultato dell’approvazione.

Il Rapporto sui diritti umani, per molti versi controverso, ha visto assorbire un emendamento dell’eurodeputato popolare slovacco Miroslav Mikolasik che segna un punto assolutamente importante, soprattutto a fronte della rapida diffusione della pratica della maternità surrogata, che sempre più attira critiche – ora anche di parte laica e femminista – nonché di vari esponenti omosessuali.

Il paragrafo in questione (il 114) afferma che il Parlamento europeo «condanna la pratica della maternità surrogata, che mina la dignità umana della donna, visto che il suo corpo e le sue funzioni riproduttive sono usate come una merce; considera che la pratica della maternità surrogata, che implica lo sfruttamento riproduttivo e l’uso del corpo umano per profitti finanziari o di altro tipo, in particolare il caso delle donne vulnerabili nei Paesi in via di sviluppo, debba esser vietato e trattato come questione di urgenza negli strumenti per i diritti umani» a disposizione dell’Ue nel dialogo con i Paesi terzi.

Il testo così emendato, prima ancora di essere approvato al Parlamento, aveva già ottenuto amplissima maggioranza in ben tre commissioni parlamentari. Anzitutto in quella che ha l’ultima parola in materia, e cioè gli Affari esteri, con 47 sì, 4 no e 4 astenuti. E così anche nelle altre due commissioni consultate: Sviluppo (22 sì, un no e un astenuto), e Diritti della donna e parità di genere (23 sì, 6 no e nessun astenuto).

Alcuni gruppi (soprattutto Liberali e Sinistra) hanno votato sì al documento nel suo complesso pur non condividendo l’emendamento sulle madri in affitto. Peraltro è stato invece bocciato in sede di commissione parlamentare un altro emendamento (firmato sempre da Mikolasik) che pure sembrava la logica conseguenza (si chiedevano «chiari princìpi e strumenti legali internazionali per l’affrontare le questioni relative alla maternità surrogata allo scopo di prevenire l’abuso di diritti umani come lo sfruttamento delle donne e il traffico di essere umani, e la protezione di diritti, interessi e benessere dei bambini»).

Il gruppo dei Liberali aveva chiesto un voto separato specificamente su questo paragrafo. E i Conservatori, che pure sono favorevoli, avevano chiesto di spezzare in due tronconi il paragrafo – uno relativo alla condanna generale, l’altro alla questione specifica delle donne nei Paesi poveri – e i relativi voti.

Già nel 2011 i Popolari erano riusciti a far passare un emendamento sulla maternità surrogata sempre nell’ambito del rapporto annuale sui diritti umani nel mondo, ma in tutt’altro clima culturale (pareva che la questione non toccasse così da vicino anche l’Europa) e senza che nel testo si facesse menzione di condanne, limitandosi a parlare di «grave problema della maternità surrogata » e affermando che donne e bambini non possono essere «considerati merci sul mercato internazionale della riproduzione».

Da allora il fenomeno non ha fatto che estendersi. Oltre alla condanna della surrogazione di maternità, il documento approvato oggi ribadisce alcuni concetti assai controversi che però erano già entrati nel rapporto annuale dello scorso anno (relatore Pier Antonio Panzeri, Pd) suscitando grande clamore dopo il contestato varo del documento nel suo insieme. Tra questi, l’ampio uso del concetto di «identità di genere», l’incoraggiamento agli Stati membri perché garantiscano alle persone omosessuali «l’accesso a istituti legali, possibilmente attraverso unioni registrate o matrimoni », e la richiesta di assicurare il «facile acceso all’aborto sicuro» nel quadro della pianificazione familiare.

Fonte: Avvenire.it

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