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PELLEGRINAGGIO UNITALSI: “Stanza 19, letto 17”, un romanzo per parlare della morte

“Stanza 19, letto 17” è il romanzo di don Danilo Priori, vice assistente nazionale dell’Unitalsi, e Francesca Mussati, criminologa e referente nazionale giovani Unitalsi, che è stato presentato ieri sera a Lourdes, nell’ambito del pellegrinaggio nazionale dell’Unitalsi.
Il libro racconta il dialogo epistolare tra un paziente nella fase terminale della sua malattia e la psicoterapeuta alla quale indirizza le sue confidenze nella speranza di avere – se non una risposta – almeno una chiave per interpretare l’esperienza della sofferenza che vive. Il racconto si sviluppa attraverso un percorso in cui il protagonista maschile, costretto a vivere in quella stanza di ospedale, trova nell’ascolto e nell’accoglienza delle proprie confidenze, da parte della sua psicoterapeuta, una dimensione per evadere dalle proprie sofferenze e raccontare i sentimenti più intimi; la donna, da parte sua, non si limita semplicemente ad interpretare quelli che sono gli episodi riportati, ma diventa una sorta di carezza sulle ferite interiori dell’uomo.
“In realtà – ha ammesso Mussatti – è una pessima psicoterapeuta perché si fa coinvolgere troppo, ma è anche molto vera e molto umana”. “Per noi – ha detto don Priori – scrivere il romanzo è stato un percorso ‘terapeutico’. Il grido del malato nel libro è quello che ci è capitato tanto spesso di vedere”.
Volutamente nessuno dei due protagonisti ha un nome nel racconto affinché il lettore, scorrendo le pagine, possa eventualmente riconoscersi nell’uno o nell’altra.
Un atto di coraggio scrivere un romanzo su un malato terminale, dato che oggi si preferisce rimuovere la morte?
“È un tentativo di affrontare la morte – risponde don Priori -, quando anche la nostra fede potrebbe non darci gli strumenti o, meglio, ce li offre ma noi non li cogliamo, per affrontare la morte. Scrivere della malattia terminale, che precede immediatamente la morte, può essere, a mio avviso, un percorso bello. Gesù Cristo ha vinto la morte per sempre e per tutti, ma il malato devo incontrare il Signore, un po’ come fa il protagonista del romanzo, anche se ha paura. È in quel momento che ti potresti aggrappare definitivamente a Gesù”. Ed è “proprio il percorso del malato del libro, anche se lo fa anche in tono polemico e critico nei confronti del sacerdote e della Chiesa, perché è disperato e non gli basta quello che finora gli hanno detto. È un invocare, senza farlo mai esplicitamente l’aiuto del Signore.
Nella parte finale del libro, pur non parlando dell’incontro con Dio, c’è un desiderio di varcare la porta. E per noi cristiani sappiamo chi è la porta. C’è qualcosa di meraviglioso: il protagonista sbircia dietro una porta, rimane sconvolto e dice di dover andare per forza, anche se fa un percorso dolorosissimo prima”.

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