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Quali risposte alla fame di vita dei giovani?

Sgozzato ai piedi di una croce. Da due coetanei. Questo è l’emblema – che potrebbe richiamare scenari di guerra lontana – e invece è quanto avvenuto nei giorni scorsi nella provincia italiana. E mentre si spera che quella croce ora lo abbracci e abbracci anche i due trasformati in bestie in quell’attimo, mentre si impreca per questo delitto e per lo scambio letale di pastiglie tra altri adolescenti, mentre si prega e impreca restando attoniti e inorriditi, mi chiedo e vi chiedo: sapete cosa è la giovinezza? Pensate davvero che possa essere una cosa regolare e tranquilla? Pensate davvero che si possa addomesticare la giovinezza con qualche raccomandazione e qualche istruzione per essere bravi cittadini, per essere persone perbene?So che la domanda può sembrare tremenda, così a ridosso di fatti così gravi. Anni fa, su queste colonne, scrissi che la vera bomba su cui siamo seduti non è (solo) la bomba ecologica, non è (solo) la guerra che minaccia mezzo mondo. Ma è quella rappresentata dai nostri ragazzini. La bomba è la loro sete assoluta di vita che se non trova proposte adeguate, impazzisce. La bomba è la loro benedetta, stramba, furiosa sete di vita.

Sete che non sa cosa è la vita, fame che non sa cosa è fame, e perciò vaga, brancola, si aggrappa, si fa sedurre, si fa attrarre. Non lo sappiamo, non lo sappiamo più noi adulti, noi che forse abbiamo trovato qualcosa che è vita nella vita, che se però non sentiamo più la medesima fame non sappiamo nemmeno parlare alla loro… Una bomba. La vita nei nostri ragazzi lo è, anche se stanno curvi sui tablet, anche se sembrano più ‘apatici’ (quanti luoghi comuni) e distanti (da cosa, da chi, dai riti spesso noiosi degli adulti?). La società pensa di averli addomesticati – tante ore di scuola, tutte le educazioni possibili stradale, sessuale, civile, etc, tante ore su Facebook, tante ore di tv – ma la vita in loro preme ugualmente, usa di tutto, di tutto, per seguire la propria fame. Fame di vita nella vita, di senso.

Fino a costruire ‘ritualità’, tribù, comandamenti. A inventarseli, laddove non ce ne siano. Spesso selvatici.

Eccitati nei sentimenti e nei pensieri più facili da una torma di succhiasangue e succhiasoldi televisivi (adulti), lanciati nel paragone con gli abissi della esistenza, il dolore, l’amore, il corpo, l’alterità, senza bagaglio culturale perché la cultura è diventata noiosa (in bocca agli adulti). Bisogna guardarli negli occhi, carnefici e vittime ragazzini, per capire su che bomba siamo seduti. E non ci si pari dietro a facili discorsi sulla razza o nazionalità. C’è tanto buio nel gesto di violenza feroce, quanto nella incoscienza di un diciannovenne che passa una pastiglia che fa scoppiare il cervello a un sedicenne.

Giusto colpire tutte le connivenze di adulti a questi fatti. Giusto pregare e imprecare. Giusto guardarsi intorno con smarrimento e preoccupazione. Ma soprattutto è necessario ricapitolare le cose, ripartire dal punto del vero scandalo: un ragazzo è una fame di vita. Pensare di addomesticare questa forza con qualche raccomandazione o istruzione per non cacciarsi nei guai è ridicolo. Non funziona. Lo si vede in fatti così gravi, come in fatti più semplici e diffusissimi – ne abbiamo tutti esperienza. Gli inviti a ‘fare i bravi’ non servono. Servono uomini e donne vive, loro padri e madri e loro compagni.

La bomba non chiede artificieri, né d’ essere spostata in zone d’ombra. Ma fatta esplodere in tutta la sua forza. Un ragazzo lo sa. Sa di essere una ‘potenza’ e questa forza spesso sa usare con furbizia e sfrontatezza per mettere in crisi il mondo dei grandi, sa che la sua fame è una provocazione. Occorre una forza altrettanto vigorosa, una bomba altrettanto forte, se così si può dire, una provocazione all’altezza giusta. Spesso mi sembra che si sia disposti a consentire luoghi, zone in cui quella loro potenza si sfoghi, si consumi, sperando che poi diventino normali. Che bevano birra la sera per strada, che bivacchino in piazze, che abbiano loro luoghi reali o virtuali di divertimento. Basta che non rompano troppo.

Ore di ‘contenimento’ scolastico ad altri tipi di contenimento. Come una forza da recintare. Perché inoltrarci in quel mistero di fame e forza può essere pericoloso. Richiede appunto una forza altrettanto potente. Qualcosa di simile alla santità.

Fonte: Avvenire.it

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